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Dopo il Golden Globe e il BAFTA, il film di Sorrentino ha mantenuto le premesse e ha portato a casa la statuetta come miglior film straniero.


La grande bellezza degli Oscar“Quando sono arrivato a Roma a 26 anni, sono precipitato abbastanza presto, quasi senza rendermene conto, in quello che si potrebbe definire il vortice della mondanità, ma io non volevo essere semplicemente un mondano, volevo diventare il re dei mondani. Non volevo solo partecipare alle feste, volevo avere il potere di farle fallire”.

Una citazione del genere metterebbe curiosità anche al più accanito dei detrattori, e quindi perché non premiare una pellicola che è affascinante e misteriosa al tempo stesso, con una trama non lineare, non bella nel senso classico del termine, ma comunque intrigante. Quella Roma decadente e un po’ felliniana tratteggiata dal regista partenopeo, già autore degli indimenticabili “Le conseguenze dell’amore”, “Il divo”, e anche del surreale “This must be the place”, ha conquistato il cuore degli americani, dopo che a Cannes 2013 non ha beccato neanche un premio.

In quel caso la Palma d’Oro era andata a “La vita di Adele”, fluviale storia d’amore lesbo con Lea Seydoux e Adele Exarchopoulos, diretta da Abdellatif Kechicke. Ma il destino delle pellicole è stato nettamente diverso: mentre nel Palmares la prima è stata praticamente ignorata scatenando giudizi contrastanti, la seconda ha destato il giubilo da parte della stampa mondiale e l’elogio da parte di una giuria particolarmente “cool” (Steven Spielberg, Ang Lee, Nicole Kidman, Christoph Waltz, Lynne Ramsay, Daniel Auteil, Cristian Mungiu, Naomi Kawase). Ma nell’autunno del 2013 le cose sono andate diversamente per il film italiano: Globo d’Oro, European Film Awards, Nastri d’Argento, Golden Globes, BAFTA e infine il premio più ambito: gli Oscar. Soggettivamente, erano dei film molto interessanti anche “Il sospetto” di Thomas Vinterberg, e “Alabama Monroe” di Felix Van Groeningen, candidati per la stessa categoria. 

Ma la pellicola di Sorrentino meritava tutte le chance possibili, perché non racconta solo Roma, racconta un mondo decadente nella nostra epoca contemporanea. Addirittura il New York Times l’ha definito: “La dolce vita ai tempi di Berlusconi”. Sarà, ma questo è un film totalmente diverso, e non credo esista attore migliore di Servillo per dipingere un giornalista disilluso dalla vita, ma soprattutto dalla “fauna” che lo circonda. Il suo disincantato Jep Gambardella rimarrà per sempre scolpito nella memoria degli spettatori, un po’ come lo è stato il Marcello Rubini di Mastroianni nel capolavoro di Federico Fellini. Nel momento in cui il regista si è trovato sul palco stringendo la statuetta per l’emozione ha rivolto al pubblico in sala e a quello mondiale il seguente ringraziamento: “Grazie a Fellini, Martin Scorsese, Talking Heads e Maradona”.

Un plauso particolare va anche alle maestranze e al team di produttori della Indigo Film: Nicola Giuliano, Francesca Cima e Carlotta Calori. Già produttori di tutte le pellicole di Sorrentino, e anche di alcuni interessanti progetti come “La bocca del lupo”, “La doppia ora” e “Il gioiellino”. E’ grazie a loro se il cinema italiano ora può tornare a sognare a distanza di 15 anni da “La vita è bella”. In ogni caso, per chi non avesse visto la pellicola, proiettato martedì 4 marzo 2014 su Canale 5 alle 21,10. Una scelta che lascia perplesso il sottoscritto, e (credo) anche molti esercenti che volevano riproiettare il film nelle sale dopo gli oscar. Questa è “La grande bellezza”, ma delle leggi di mercato…

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