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La bravura di Virginia Raffaele, “l’assenza” dei valletti, le poche emozioni e la grande marea di inutilità.


Sanremo 2016: non sono i numeri a fare la qualitàCala il sipario, si spengono le luci sul teatro Ariston e cosa resterà? Partiamo dalle cose belle, da quello che ha commosso, due nomi: Ezio Bosso e Nino Frassica, l’uno per la sua spontaneità, la sua forza, la sua potenza e coraggio e l’altro per la sua bravura di colpire al cuore con una semplice canzone: “A mare si gioca”. Rivelazione del festival Virginia Raffaele che ogni sera si è mostrata al pubblico con un volto diverso, ad eccezione della finalissima, momento in cui ha potuto dimostrare la sua bravura di persona e non solo di maschera. Verrebbe da dire che Conti gli ospiti che non può avere li fa imitare. È lei dunque la vincitrice assoluta, sebbene si sarebbe potuta far valere ancora di più, magari alternando imitazione e non, sebbene sarebbe stato bello che almeno al termine di ogni serata, dalla bocca di Conti uscisse il nome “Virginia Raffaele”, ma purtroppo questo non è successo.

Finisce qui la lista delle cose belle, perché per il resto questo festival non ha brillato per contenuti, per idee, un funerale sarebbe stato più divertente. I numeri però dicono qualcosa di diverso, dicono che è stato uno dei Sanremo più visti degli ultimi undici anni, parliamo di una media di 10.746.429 spettatori, con uno share del 49,58%. Peccato che nessuno si sia degnato di scavare in profondità. E che soprattutto si sia guardato a share e spettatori in modo assolutamente scriteriato, oserei dire, a convenienza, facendo quadrare i conti, non solo degli ascolti, a discrezione propria. Tutti parlano di numeri, di trend sui social, ma il contenuto del web nessuno è andato a leggerlo, perché se così si fosse fatto, sarebbe emerso davvero che cosa è stato questo festival. Un festival che ha avuto una presentazione per nulla incisiva, perché va bene la centralità della musica, che poi alla fine non c’è stata, ma Sanremo è anche intrattenimento, è allegria come diceva il buon vecchio Mike. Sotto questo punto di vista è stato un Sanremo scialbo, privo di contenuti.

Non c’era una storia da raccontare, ma solo un minestrone dove mettere a cuocere di tutto, anche cose che in tempi non tanto lontani erano state viste come snob, mentre ora, con il re di Rai Uno, sono state applaudite. Ma si sa, la coerenza non fa per noi italiani. Conti avrebbe potuto valorizzare ciò che aveva, avrebbe potuto costruire bellezza e non l’ha fatto, anzi forse l’ha solo distrutta. Interviste senza un filo logico e domande banali che denotato la sua poca voglia di sporcarsi le mani, di creare un racconto, di sperimentare. Fare televisione vuol dire provare, avere anche quella percentuale, bassa o alta che sia, di probabilità di fallire, e per Conti questo è inconcepibile, meglio rimanere di basso profilo, dirigere la baracca, scandire i tempi e svuotare così dall’interno uno spettacolo che di potenziale ne avrebbe potuto avere, ma che così facendo è risultato noioso. Tutto, e solo, in funzione degli ascolti: i cantanti, gli ospiti, la scaletta costruita a regola d’arte per tenere il telespettatore davanti alla TV, per poi magari vedersi liquidare la star di suo gradimento in due minuti. Certo Conti non brilla moltissimo per accoglienza, questo dovremmo saperlo. Incollato a quel palco come se la sua assenza, anche solo di pochi secondi, potesse far dimenticare che a condurre era lui. Capitolo a sé i valletti, perché per loro ne va aperto uno ad hoc.


Da Madalina Ghenea non potevamo aspettarci di più, la bellona straniera ha fatto quel che poteva, cioè nulla, il che è forse anche tanto. Ed è un peccato perché da quelle poche conferenze stampa alle quali le è stato permesso di partecipare, ha dimostrato intelligenza e non solo bellezza. Garko non pervenuto in tutti i sensi. Aveva detto che non si sarebbe preparato per Sanremo e così è stato, la parola l’ha mantenuta. Tutti si sono chiesti la necessità della loro presenza, spalmata più o meno in venti minuti su quattro ore a serata e probabilmente questo rimarrà un mistero. Garko ha giocato sul “ci faccio o ci sono” stancando e Madalina è diventata il manichino sul quale appendere bei abiti. Sanremo però non dovrebbe essere più questo, nel 2016 il concetto di valletta si dovrebbe superare e invece no, con Conti si fa un salto nel passato, all’era di Baudo, a quella metodologia di costruzione di un Festival. Sanremo, però, oggi è il palco più importante che possiamo avere, un luogo che se usato con intelligenza diviene potente, può dare segnali forti, può generale, per l’appunto, bellezza, cosa che ancora una volta non si è vista, perché anche i lanci sociali che Conti ha tentato di fare, senza nemmeno tanta convinzione, non sono parsi altro che l’ennesima stonatura in una musica per nulla armoniosa.

E allora perché così tanto successo, a tal punto da riconfermare già da oggi la sua conduzione nel 2017 e non solo la direzione artistica? Forse per l’assenza di controprogrammazione, ad eccezione di juve-napoli di sabato sera, forse perché Sanremo, nel bene o nel male, va visto per poterlo commentare, anche se poi i commenti il più delle volte sono negativi. Forse ancora perché Conti è il fiore all’occhiello di Rai Uno e quindi il suo pubblico fidelizzato già ce l’ha, e perciò si può permettere di vincere a scatola chiusa, non proponendo alcunché, fingendo di creare un spettacolo di alto livello quando in realtà ciò che ha lasciato è il nulla costruito sul niente. E sebbene i numeri denotino la poca voglia di cambiare, di indignarsi davanti ad una televisione insipida, sarebbe bello che la linfa della tv, e cioè gli spettatori, tra un monologo impegnato, forte, che fa riflettere e commuovere, e la continua sfilata di abiti della Ghenea, tornasse a scegliere il primo, perché non sono sempre i numeri a fare la qualità.

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