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Stavolta Christopher  Nolan preme l’acceleratore e realizza il suo film più epico e ambizioso su una sceneggiatura scritta da suo fratello Jonathan.


Wormhole e temi universali in InterstellarNel futuro prossimo venturo le risorse stanno per esaurirsi, e negli Stati Uniti capita non di rado di assistere a continue tempeste di sabbia. In una fattoria vivono Cooper (Matthew Mc Counaghey, in grande forma dopo l’oscar per “Dallas Buyers Club”) con suo padre Donald (John Lightow) e i suoi figli Murphy, detta Murph (Mackenzie Foy da bambina, Jessica Chastain da adulta) e Tom (Tymothèe Chalamet da ragazzo, Casey Affleck da adulto). Murph ha un rapporto conflittuale con i suoi insegnanti per via delle teorie racchiuse nei testi scientifici della sua casa, contrapposti a quelli tradizionali scolastici. Cooper si rende conto di strani avvenimenti, ovvero la presenza di un campo gravitazionale autonomo nella stanza di Murph, che avrebbe condotto lui e sua figlia verso una base della Nasa.

Il centro spaziale più famoso del mondo ora è ridotto alla clandestinità, e qui un gruppo di scienziati capitanati dal dottor Brand (Michael Caine) sta compiendo degli studi per salvare la razza umana dall’estinzione. Parlando col dottore, Cooper si rende conto che è in progetto un viaggio verso Saturno alla ricerca di nuovi pianeti abitabili attraverso il passaggio in un wormhole (un cunicolo spazio temporale) e che a lui viene proposto il ruolo di comandante della missione. Per l’uomo la scelta si rivela assai ardua visto che dovrà lasciare i suoi figli per un periodo di tempo imprecisato, e malgrado il dolore della figlia, Cooper prende la decisione di partire verso l’ignoto con un team di scienziati, tra cui Amelia (Anne Hathaway), la figlia del dottor Brand. Lo spazio con i suoi wormhole rappresenterà per la spedizione una sfida verso i confini dell’universo fino ad allora conosciuti con i suoi pericoli e le sue sorprese.

Dopo “Il cavaliere oscuro – il ritorno”, Nolan approda alla fantascienza con risultati complessi e strabilianti, attraverso un trattato teorico del fisico Kip Thorne. “Interstellar” inizialmente era un progetto che doveva essere diretto da Steven Spielberg, proprio dopo aver assistito ad un workshop dello stesso Thorne. Le variazioni che Nolan ha apportato allo script sviluppato da suo fratello Jonathan sono le seguenti: nella versione spielberghiana, Murph era di sesso maschile, la missione Lazarus non era mai stata compiuta, il wormhole non era sferico, l’unico pianeta da raggiungere era quello di ghiaccio, il robot dell’astronove in realtà è spietato e sostituisce la presenza del dottor Mann (interpretato nella pellicola da Matt Damon), l’innamoramento di Cooper per Amelia e viceversa, la presenza di un secondo buco nero, l’umanità estinta sulla terra.

Ad un anno di distanza dall’uscita nelle sale di “Gravity”, Hollywood torna ad esplorare i misteri dell’universo affidandosi a Christopher Nolan,  reduce dalla trilogia “blockbuster d’autore” di Batman, e le direzioni della pellicola vanno tutte verso un aggiornamento odierno del kubrickiano “2001 Odissea nello spazio”. Ma è la relazione padre – figlia, che il regista sceglie di esplorare di pari passo alla conquista spaziale, ed è il fulcro che manda avanti la pellicola, perché se nello spazio è il tempo a non passare, sulla terra gli anni vanno avanti velocemente. Il film dura due ore e cinquanta e per essere compreso pienamente, merita più di una visione, e da cinefili, spesso ci si chiede come sarebbe stata la versione realizzata da Spielberg, ma Nolan ha riscritto e fatta sua la storia nel ritmo e nello stile. Quello che ci si chiede, è se l’umanità sarà pronta in futuro ad affrontare le emergenze che la penuria di risorse impone. “Interstellar” ha il pregio di porre questo quesito, e quindi, qualità artistica a parte, non va sottovalutato.

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