Film di chiusura al 15esimo Festival del Cinema Europeo di Lecce, già nelle sale italiane dall’8 maggio, il capolavoro del belga Felix Van Groeningen, commuove ed emoziona come pochi.
Preparate i fazzoletti, la più bella storia d’amore degli ultimi anni è giunta finalmente sugli schermi italiani, ma non fatevi ingannare dalla linearità semplice della trama, qui si affrontano gli abissi del dolore più acuto, smorzato dalla musica country, che riesce a sembrare quasi un’attenuazione di fronte alla tragica ineluttabilità del destino. Van Groeningen riesce a raccontare le emozioni più intense e sofferte, attraverso una narrazione che alterna passato e presente, dalla malattia al primo incontro, dall’amore folle fino allo sfaldamento risolutivo, con due magnifici protagonisti: Johan Helderbergh e Veerle Baetens (vincitrice dell’European Film Award).
Il primo è Didier, cantante di musica bluegrass (uno degli stili country), musicista di banjo in un gruppo belga che ha come chiodo fisso il pensiero dell’America rurale , mentre la seconda è Elise, una ragazza che usa il proprio corpo per comunicare attraverso i tatuaggi, oltre a possedere un negozietto, dove si cimenta nella loro creazione per diverse tipologie di clienti. Un bel giorno vi entra Didier, e scatta il colpo di fulmine, che prelude ad una passione carnale senza precedenti, e da quell’unione (e in maniera inattesa), nascerà una bellissima bambina: Maybelle.
Quest’ultima rappresenterà per loro, il coronamento di uno splendido sogno d’amore (almeno sulla carta), ma l’imprevisto è in agguato. Il titolo originale è “The broken circle breakdown”, mentre quello italiano è “Alabama Monroe”, nonostante l’improbabilità, riesce ad essere credibile, quando nel corso del film, attraverso un tatuaggio, viene svelato l’arcano misterioso. Questa meravigliosa vicenda sentimentale ( premiata con il Cesar 2013) fatta di luci e ombre, ateismo e credenza, amore per la vita ed eutanasia, è stata la sfidante più temuta da Sorrentino agli Oscar di quest’anno, e con tutto il rispetto per “La grande bellezza”, il film di Van Groeningen meritava di vincere assai più delle malinconiche peripezie del nostrano Jep Gambardella.