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Il progetto che il grande regista ha inseguito da molti anni, è giunto finalmente sui nostri schermi.


Il sofferto 13esimo emendamento in “Lincoln” di SpielbergC’è voluta una lunghissima gestazione e la scelta di un attore di razza, il migliore al mondo per riuscire nell’impresa: Daniel Day Lewis. Inizialmente nel suo ruolo era previsto Liam Neeson, che ha lasciato la pellicola dopo molti tentativi andati a vuoto da parte di Spielberg nel portare al cinema la tormentata vicenda di colui che ha abolito la schiavitù, pagandone il caro prezzo con la vita.

Il film non è un biopic nel senso classico del termine sul Presidente Repubblicano, ma si focalizza sull’ultimo periodo della sua vita, nel momento in cui l’uomo decide di dare una svolta significativa che non sarebbe stata circoscritta solo al suo paese, ma nel mondo intero. Per raggiungere lo scopo Abramo Lincoln (Day Lewis, che si prenota per il suo terzo oscar), cerca con saggezza da grande stratega delle politica, l’alleanza con i democratici, tra cui Thaddeus Stevens (Tommy Lee Jones) uno dei suoi più irriducibili avversari, ma al contempo colui che li tenderà la mano nel momento in cui capirà il suo nobile progetto.

Il cammino verso l’abolizione della schiavitù, per Lincoln non è esente da tormenti personali, come la perdita di uno dei suoi tre figli in guerra alcuni anni prima (non a caso ci vengono mostrati alcuni dettagli della carneficina di Gettysburg, che rimandano a “Salvate il soldato Ryan”), i frequenti scontri con la moglie Mary Todd (Sally Field) e con l’altro figlio Robert (Joseph Gordon Levitt) , desideroso di servire quanto prima il suo paese.

E’ strana la coincidenza in cui “Lincoln” sia uscito una settimana dopo “Django Unchained” nei cinema. Se il film di Tarantino giocava con la tematica della schiavitù, ironizzando il tutto in una maniera estrema e grottesca, in “Lincoln” (candidato a 12 premi oscar), Spielberg mette in scena una ricostruzione formale e accuratissima (in alcuni casi non esente da pesanti accademismi), resituendo alla Storia l’Uomo Lincoln, prima che il politico. Qualche tempo fa Day Lewis, ha rivelato il contenuto della lettera con la quale rifiutava il ruolo del Presidente nel film di Spielberg: “Caro Steven, già il solo stare seduto a parlare con te è stato un autentico piacere.

Ho ascoltato molto attentamente quello che avevi da dirmi a riguardo di questa appassionante storia e quindi ho letto il copione e, in tutti i dettagli in cui descrive questi eventi monumentali e i compassionevoli ritratti di tutti i protagonisti, ho potuto percepire tutta la potenza e capacità di toccare le corde dell’animo. Non posso spiegare come in un dato momento io senta il bisogno di esplorare una vita o un’altra, ma so che posso fare un dato lavoro solo se avverto la sensazione che non ci sia altra possibilità di scelta; come se si trattasse di un soggetto che va a coincidere, inesplicabilmente, con un dato bisogno personale che palesa in un momento molto specifico.

In questo caso, nonostante il fascino della figura di Abramo, mi sono sentito come uno spettatore riconoscente che desiderava ascoltare un racconto, piuttosto che una parte attiva dello stesso. E’ così che mi sento ora, e anche se non escludo che questo sentimento possa cambiare nel tempo, non mi sognerei mai di dirti di lasciare una porta aperta sulla base di una mera possibilità. Spero che queste parole abbiano senso Steven, sono davvero lieto che tu stia lavorando al film e ti auguro la forza necessaria a realizzarlo, e ti mando i miei più sinceri auguri quanto il mio più sentito grazie per avermi preso in considerazione”. Ora come ora, non possiamo che essere contenti, come spettatori e critici, che Daniel ci abbia ripensato, veramente tanto.

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