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Nel film dello svedese Daniel Espinosa, tratto dall’omonimo best seller di Rob Smith, sono 44 i bambini assassinati dal mostro di Rostov nella Russia di Stalin.


Il finto paradiso di “Child 44 – Il bambino numero 44”Mosca, 1952. L’eroe di guerra Leo Demidov (Tom Hardy), è uno dei migliori agenti dell’MGB russo (antesignano del KGB), ma anche uno dei più inflessibili esecutori delle terribili epurazioni staliniane. Un giorno, il figlio del suo collega e amico fraterno Alexei (Fares Fares) viene trovato ucciso sui binari di una ferrovia. La versione ufficiale dei vertici dell’MGB è “incidente”, quando tutti i dettagli e l’autopsia portano ad un terribile assassinio, ma questo purtroppo Leo non può dirlo, perché a detta del regime, “non esistono omicidi in paradiso”. In più l’uomo si troverà a gestire un doppio problema: sua moglie Raisa (Noomi Rapace) viene accusata di spionaggio da parte del dissidente Anatoly Brodsky (Jason Clarke), e il suo maggiore Kuzmin (Vincent Cassel) lo incarica personalmente dell’indagine.

Ma Leo non accuserà sua moglie e ciò lo farà cadere in disgrazia: lui e Raisa verranno esiliati da Mosca a Volsk, un lugubre avamposto provinciale sui Monti Urali. Lui degradato a soldato semplice e lei da insegnante a donna delle pulizie, uniranno le loro forze a quelle del generale Mikhail Nesterov (Gary Oldman) per far fronte agli altri omicidi di bambini che avvengono nell’area di Rostov. Ma questo tentativo viene boicottato dal regime sovietico, che ha in Vasili Nikitin (Joel Kinnaman), perfido ed invidioso collega di Leo, il suo più abile insabbiatore di verità. La lotta per trovare il carnefice di Rostov e contro Vasili sarà dura e spietata, ed evidenzierà il clima di terrore che pervade l’Unione Sovietica di quegli anni. Nella black list dal 2008, il copione di “Child 44”, doveva essere inizialmente diretto da Ridley Scott (rimasto nelle vesti di produttore), ed interpretato da Christian Bale, di cui Hardy è subentrato successivamente, e dotato di una fisicità e abilità interpretativa, che lo rendono perfetto per il ruolo.

La fotografia di Oliver Wood tratteggia al massimo la cupezza di quegli anni nell’Urss di Stalin, in cui chiunque poteva risultare colpevole di qualcosa, e il terrore viveva attaccato nella pelle del suo popolo, consapevole dell’incombente minaccia dell’arresto e della deportazione verso i gulag. Proprio per questo in Russia, il ministro della cultura ha bandito la pellicola dalle sale, perché a suo dire dipinge il suo paese come una sorta di Mordor ( il tetro regno del Signore degli Anelli) e i sovietici come una sottocategoria umana immorale, una massa di orchi assetati di sangue e una massa di spiriti malvagi, oltre a rappresentare una distorsione storica dei fatti. A dispetto delle critiche, “Child 44” è uno dei migliori thriller d’azione degli ultimi anni, con un’ adrenalina e una tensione difficilmente eguagliabili, e scene da antologia, come quella sul treno, in cui i due protagonisti devono fronteggiare due feroci sicari del regime.

Distribuito in Italia da Adler Entertainment, “Child 44” è tratto dal primo romanzo di una trilogia incentrata su Leo Demidov e quel periodo storico in Russia, a cui fanno seguito anche “The Secret Speech” e “Agent 6”, e si spera che anche questi possano vedere il grande schermo, nonostante gli incassi del film (di ottima qualità) di Espinosa, non siano stati proprio esaltanti. Il mostro di Rostov è esistito veramente e ha operato in Unione Sovietica dal 1978 al 1990, e il suo nome era Andrej Romanovich Chikatilo, da cui è stato prodotto già un altro film, “Evilenko” con Malcolm McDowell. Nel caso di “Child 44”, l’azione è stata anticipata agli anni cinquanta per rendere funzionale alla storia l’agire indisturbato di questo terribile serial killer, sotto una delle più brutali e sanguinarie dittature di tutti i tempi.

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