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Il governo italiano avvii immediatamente tutte le procedure per le verifiche antievasione anche nel paradiso fiscale asiatico.


La lotta all’evasione fiscale a livello mondiale inizia a dare i suoi frutti e a far cadere importanti muri che impedivano l’accertamento di capitali illeciti o sfuggiti al fisco dei paesi di provenienza. Dopo la Svizzera che ha iniziato a stringere accordi con alcuni stati per favorire l’emersione di fondi provenienti da fonte illecita o comunque evasi dal fisco di provenienza, cade un’altra barriera: Singapore.

Il piccolo stato asiatico era di fatto considerato un vero e proprio paradiso fiscale – finanziario. La sua forza era basata su un sistema finanziario innovativo e agile cui si univa un segreto bancario inespugnabile dove poter affidare asset in massima sicurezza.

Con una vera e propria marcia indietro attraverso una nota ufficiale inviata agli amministratori delegati di tutte le istituzioni finanziarie autoctone e straniere stanziate nella città stato indonesiana, l'Autorità monetaria di Singapore ha, infatti, pubblicato una circolare che rappresenta un vero e proprio stop all'accoglienza dei capitali non regolarizzati, per impedire nuove ondate di capitali illegali.

A onor di cronaca, il documento non fa altro che fare seguito gli annunci del Mas dell'anno scorso che esplicitavano la volontà di adeguamento alle normative del Gafi andando a irrigidire ulteriormente la legge detta Cdsa - Corruption, Drug Trafficking and Other Serious Crime.

La circolare è molto dura e chiara: oltre a invitare le istituzioni finanziarie a censire la provenienza degli asset dei clienti, l'Autorità monetaria di Singapore invita le banche a chiudere i conti di tutti gli utenti poco trasparenti. In caso di violazione delle nuove regole, il Mas prenderebbe seri provvedimenti nei confronti dei soggetti inadempienti.

Se anche in questo paese la pacchia dovrebbe essere finita per i piccoli e i grandi evasori, è corretto che il governo italiano avvii immediatamente tutte le procedure per le verifiche antievasione ed antiriciclaggio anche nel paradiso fiscale asiatico, magari chiedendo ufficialmente all’autorità una lista dei titolari di capitali di origine italiana, anche per evitare che i soliti furbetti del quartierino spostino i propri denari in altri paesi che ancora non si adeguano alla normativa internazionale.

 

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