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Luca Ronconi regista de Il Panico, andato in scena al Teatro Piccolo di Milano, ha dimostrato come il teatro riesca ancora a guidare la vita dell'uomo.


Realeinconscio-non-port1Un consiglio: per chiunque avrà il piacere di assistere all'opera teatrale Il Panico scritta da Rafael Spregelburd per la regia di Luca Ronconi, dopo il primo periodo di rappresentazione al Piccolo Teatro Strehler di Milano, non si preoccupi di trovare una linea di continuità tra tutto il sapere storico, letterario e culturale che gli sarà rovesciato addosso durante le 3 ore di spettacolo. L'universo di saperi, leggende, opinioni, riferimenti veri e presunti del testo è vastissimo e investe lo spettatore con una forza attiva e propositiva che incuriosisce e porta alla ricerca.

Ciò che rende ancora più intrigante questa comunicazione di saperi è il canale di trasmissione. Lo spettatore non si accorge di ricevere questi stimoli in quanto è travolto da un altro uragano, quello della follia, del panico, del terrore, della tragedia, dei morti che non trovano pace, interpretato magistralmente dai 16 attori, tutti straordinari (Maria Paiato, Francesca Ciocchetti, Fabrizio Falco, Paolo Pierobon, Valetina Picello, Valeria Milillo, Riccardo Bini, Iaia Forte, Sandra Toffolatti, Marìa Pilar Pérez Aspa, Alvia Reale, Clio Cipolletta, Elena Ghiaurov, Manuela Mandracchia, Bruna Rossi, Lucrezia Guidone).

Il Panico, infatti, è un thriller, un testo sulla paura dell'uomo di fronte al baratro e alla morte. Queste sono le due cornici utilizzate dal drammaturgo argentino: la crisi economica argentina del 2001 e la memoria dei desaparecidos scomparsi durante la dittatura alla fineReale+inconscio (non) portano al Panico degli anni Settanta. La famiglia protagonista capeggiata da Luordes Grynberg cerca disperatamente la chiave per aprire la cassetta di sicurezza contenente gli ultimi soldi rimasti dopo lo scoppio della crisi. Allo stesso tempo quella chiave è la metafora per permettere all'anima di Emilio, consorte di Lourdes e proprietario della cassetta con i soldi, dopo la sua morte, di entrare in paradiso. Insomma morte e paura si intersecano e creano il Panico.

Qui interviene la maestria di Ronconi nel saper tradurre in scena questo universo. Mette in moto un meccanismo di voci, movimenti vorticosi, musica a volume altissimo, confusione verbale, incomunicabilità (la frase più detta dagli attori è: ”Non ti capisco!”) su un palcoscenico storto, obliquo, spezzato. Gli attori si muovono sulla scena con un equilibrio antigravitazionale per sottolineare come la necessità di vita li porti a muoversi con naturalità anche su un terreno sconnesso. La messa in scena di Ronconi è un labirinto di irregolarità sociali, di rimandi a fatti e cose passate in cui la paura emerge con forza, ma il pubblico si diverte e ride.

Chi osserva è sopraffatto dall'ansia e non riesce a prevedere ciò che potrà accadere, perché tutto è imprevedibile nel Panico; allo stesso tempo tutto questo è celato dal paradossale contesto creato dal regista. Le battute sono talmente surreali e fuori luogo, ogni azione è così fuori dal controllo da risultare divertente e folle. Il modo in cui la direttrice della banca spiega alla famiglia di Lourdes come non può restituirle il denaro perché serve all'istituto per ripianare il debito pubblico durante la crisi, è recitato in maniera così surreale da non sembrare vero e quindi risulta divertente.

Realeinconscio-non-port2In tutto questo risiede il valore universale della regia di Ronconi che ha saputo interpretare con la giusta intelligenza il testo di Spregelburd. Il regista afferma: nulla è come sembra. Dietro la patina di apparenza esiste un sottolinguaggio di interpretazioni che cela il vero significato. Spregelburd utilizza la banalità della comunicazione ufficiale trascendendola; come Hyeronimus Bosh nell'opera “I sette peccati capitali” (primo riferimento per la costruzione dell'Eptalogia scritta dal drammaturgo di cui Il Panico fa parte) traduce in immagini i sette peccati capitali trascendendo la Bibbia, così Ronconi sulla scena usa un labirinto di metafore e rimandi per parlare di fatti reali. Il grande insegnamento all'uomo de Il Panico è che per comprendere ciò che gli sta attorno servono la comunicazione reale e quella trascesa, quella interpretata grazie a quel mondo culturale su cui lo spettacolo si fonda. Altrimenti c'è il caos, il terrore, il Panico.

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