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Al 58. Festival di Musica Contemporanea, diretto da Ivan Fedele, sono state proposte quattro operette nell'ambito de La Biennale College. Quattro produzioni in apparenza differenti, ma simili nelle intenzioni e nella prospettiva.


Quattro atti unici per un'unica visioneLa Biennale College è il territorio della scoperta di innovativi linguaggi espressivi, di nuove sperimentazioni artistiche. Nella declinazione per il settore Musica, questo laboratorio ha proposto quattro atti unici: “O-X-A” per la regia di Antonio Di Marca e la musica di Accursio Cortese; “Magen Zeit Opera” diretta da Alberto Oliva e musicata da Gabriele Cosmi; “The Myth of Homo Rudolfensis” la cui musica è stata composta da Yair Klartag e la regia curata da Franziska Guggenbichler; “Tre cose (a caso) sull'amore” di Chiara Passaniti sulla musica composta da Claudio Gay. L'esecuzione è stata affidata all'Ex Novo Ensemble, diretta da Filippo Perocco.

In “Tre cose (a caso) sull'amore” il testo musicale di Gay inizia come una sinfonia d'amore di sottofondo ai terzetti amorosi che si avvicendano sulla scena (Cirano-Cristiano-Rossana, Otello-Desdemona-Balia, Dante-Beatrice-Virgilio). Successivamente questo muta nella riproduzione dell'orchestra delle suonerie degli smartphone che interrompono e frammentano i dialoghi. La musica, così, si deteriora, si scarnifica, si sottrae del suo corpo, per divenire rumore. Allo stesso modo il cantato si trasfroma in parola, tutto per evidenziare l'incapacità di comunicazione dell'uomo di oggi.

Un tema tratta “Magen Zeit Opera”. Al centro scena è posta una donna monumentale che mangia in continuazione. Il suo canto è profondo e Quattro atti unici per un'unica visionedisseminato di piccoli accenti identificanti i picchi della sua gola e si contrappone alla voce incerta e titubante di una figura magra e scheletrica, perché sfamata dalla brama materna che poi si scopre essere la figlia della donna. Ogni cantante ha quindi, una struttura musicale differente e opposta che le impedisce di dialogare, seppure le due voci, ascoltate insieme, si armonizzano, come a voler identificare l'equilibrio malato, fatto di una malsana reciproca assistenza, tra le due donne.

Anche “O-X-A” propone due diverse strutture musicali per i due cantanti protagonisiti. All'inizio l'operetta si rifà alla tradizione sonora del mondo dei pupi siciliani. Sulla scena è presente il puparo, sovrastato da una gigantesca “X”, seduto sul trono. Questo tiene per i fili i due personaggi per eccellenzza di questo universo, Orlando e Angelica. Quando però, il peso dei fili divine opprimente Orlando li strappa e si trasforma nella maschera di Arlecchino che prima scende a un compomesso con il suo padrone, per poi sovrastarlo e impossessarsi del trono.

La musica, quindi, passa dall'ouverture iniziale a seguire le voci dell'uomo e della donna, modulando così, il loro timbro, in particolare quello del personaggio maschile. Quando infatti, Orlando è appeso ai fili, la sua voce è flebile e leggera, per poi divenire nasale, quasi ruffiana nelle vesti di Arlecchino e infine squillare altisonante e corposa quando sale sul trono. Il testo musicale di Cortese illustra, così, il processo di acquisizione del potere e della relazione tra potente e soggiogante, supportando la giusta idea registica di utilizzare il teatro per spiegare un'aspetto della condizione umana, utilizzando due sue figure della tradizione, i pupi e le maschere.

Quattro-atti-unici-per-un4Il percorso dei quattro atti unici della Biennale College si conclude con “The Myth of Homo Rudolfensis” in cui la regista Franziska Guggenbichler si serve del pretesto drammaturigico del mito dell'Homo Rudolphensis, un'ipotetica specie umana apparsa 2 milioni di anni fa che si è istinta in 12 minuti di cui si posseggono solo tre fossili. Questo non compare in scena, ma si esprime nell'idea di morte ad esso collegata che la regista propone attraverso tre figure.

La prima è Violetta de La Traviata, che rappresenta l'estasi della morte; la seconda cantante recita alcuni passi sulla morte di Essere e Tempo di Martin Heidegger; infine la terza entrando e uscendo dal palco, è in costante fuga da un'apparente morte scenica e reale. La musica si accorda a questa idea di fine con una partitura sempre in procinto di iniziare, ma che invece non si compie e scandisce il suo termine con un conto alla rovescia dettato a voce dagli orchestrali.

Alla fine di questa analisi, condotta per assurdo e iperboli, cosa rimarrà? Questo è l'interrogativo finale della regista che rivolge non solo alla specie umana, ma anche al teatro stesso e alla musica. In questo dubbio si possono raccogliere gli stimoli e gli spunti proposti dai quattro atti unici della Biennale College la quale, come notato nella musica di “Tre cose (a caso) sull'amore” o nella struttura autoriflessiva dell'operetta “The Myth of Homo Rudolfensis” o nell'analisi sulle figure del teatro di “O-X-A” propone risposte e proiezioni. Nel raccogliere, condensare e stimolare la Biennale si afferma, dunque, come una valida e realistica piattaforma di sviluppo artistico per il futuro dell'opera, della musica e del teatro, proprio perché in grado di saper individuare le analisi più lucide e vive sullo status quo attuale.    

Nelle foto di Akiko Myiake da in alto a sinistra:

The Myth of Homo Rudolfensis di Yair Klartag, regia Franziska Guggenblicher, libretto e scene Yael Sherill, costumi Aileen Klein;
Magen Zeit Opera di Gabriele Cosmi, regia Alberto Oliva, libretto di Michelangelo Zeno, scene e costumi Marco Ferrara;
O-X-A di Accursio Cortese, libretto e regia Antonio Di Marca, scene e costumi Isabella Terruso scene e costumi;

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