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Il testo dell'autore napoletano inaugura la stagione di prosa del Teatro Toniolo di Mestre con la regia di Toni Servillo. La rappresentazione convince, diverte e conduce chi osserva in un buco nero di malinconia.


Le voci di dentro di Edoardo De FilippoNella messa in scena di “Le voci di dentro” di Edoardo De Filippo, diretto da Toni Servillo tutto è sogno e realtà. La scena nel primo atto è un involucro bianco, colore del lattice che inquadra la sala principale di casa Cimmaruti, arredata solo con una credenza, un tavolo e le sedie. Nel secondo atto questo scenario si tramuta in un'installazione di sedie incastrate l'uno sull'altra, poste a mezz'aria sul fondo del palcoscenico, in riferimento all'occupazione di organizzatori di feste dei due protagonisti del testo, i fratelli Saporito, Alberto (Toni Servillo) e Carlo (Peppe Servillo). Una sottile e trasparente parete, interrotta solo da una porta, divide questo sfondo dalla casa di Alberto e Carlo, arredata solo con due sedie, appunto.

In questo scenario instabile e velato, l'abitazione di Zi' Nicola (Daghi Rondanini) è l'unico elemento che conferisce alla scena stabilità, certezza; forse perché è una stanzetta, coperta da un telo, sopraelevata rispetto al palco, posta su delle fondamenta. Lo zio è un uomo anziano burbero, indisponente, respingente; non parla e comunica solo con colpi di mortaretti, manifestando il suo disprezzo attraverso sputi. Zi' Nicola sembra non volersi mischiare con la vicenda narrata. In questo personaggio e nella sua caratterizzazione risiede la chiave per comprendere “Le voci di dentro”.

Il testo è una tragedia, quella di Alberto Saporito che una notte sogna l'omicidio di Aniello Amitrano per mano della famiglia Cimmaruti. L'indomani, in attesa dell'arrivo dei gendarmi, l'uomo, insieme al fratello Carlo, si stabilizza in casa loro per bloccarli. Subito dopo l'arresto, però, Alberto non è in grado di fornire le prove necessarie all'incriminazione degli arrestati e anzi dubita di aver sognato tutto. Per questo motivo nel secondo atto, i Cimmaruti sono rilasciati, ma invece di cercare Alberto per chiedere spiegazioni, si recano a casa sua uno alla volta, confidando all'uomo l'odio e il malessere profondo e radicato verso gli altri membri della famiglia.Le voci di dentro di Edoardo De Filippo

Entrano dalla porta Rosa (Betti Pedrazzi), anziana sorella di Pasquale (Gigio Morra), il capofamiglia; suo figlio (Vincenzo Nemolato) e la cameriera Maria (Chiara Baffi) e si accusano vicendevolmente del presunto omicidio, sgretolando l'etichetta di famiglia rispettabile. Tutti questi spronano, inoltre, il Saporito a fornire le prove necessarie all'accusa. Alberto ora (terzo atto) è confuso e amareggiato e non è più sicuro di niente. Inoltre il fratello Carlo sembra volerlo escludere, con un sopruso, dalla cogestione familiare dell'attività di affitto sedie.

E Zi' Nicola? È confinato nel suo eremo sopralevato e compare in scena, appositamente, solo nel secondo atto ossia quando la meschinità dell'uomo, lo scempio familiare, la vicendevole capacità di tradire e accusare di tutti i personaggi si manifesta. L'anziano uomo muore subito dopo aver pronunciato le sue uniche parole “Per favore, un poco di pace!”, esausto per le troppe cattiverie sentite. In questa battuta risiede il messaggio della tragedia di De Filippo. Il letterato napoletano scrisse il testo nel 1948, quando dopo la seconda guerra mondiale, percepì una caduta di valori e morale che avrebbe contraddistinto gli italiani del boom economico, più interessati al denaro (Carlo Saporito che trama contro il fratello per sottrargli l'affare delle sedie) che ai veri valori.

Servillo è bravo nel rappresentare questa amarezza. La cela dietro la rotondità linguistica e farsesca del dialetto napoletano, caricando, quasi a macchietta, i personaggi, in particolare quello di Maria. Al pubblico la ragazza appare divertente e sopra le righe, ma in lei si cela uno spirito candido che non si vuole sporcare, come Zi' Nicola. Maria, come reazione, scappa, essendo stata lei, inconsciamente, all'inizio ad anticipare il compiersi della tragedia, narrando un sogno tremendo e disgustoso appena fatto. Servillo, in questo modo, crea un climax di incupimento di verità e sogno che si compie nel finale e si evolve e manifesta sia nel personaggio di Maria quanto nella faccia e nei pensieri di Alberto, permettendo, così, al testo di esplodere ancor'oggi la sua genialità realistica.

Foto di: Fabio Esposito

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