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Al Teatro Goldoni di Venezia l'ultimo fine settimana di novembre è approdato “Il servitore di due padroni” per la regia di Antonio Latella che ha creato uno spettacolo concettualmente e visivamente imponente.


L'Arlecchino di Latella: realismo, menzogna, distruzioneRealismo- rivoluzione-rinascita. Su questi elementi è strutturato “Il servitore di due padroni” di Carlo Goldoni diretto da Antonio Latella con la drammaturgia di Ken Ponzio e prodotto da il Teatro Stabile del Veneto, Emilia Romagna Teatro e Teatro Metastasio Stabile della Toscana. L'approccio del regista è quello già visto in le “Benevole” di Jonathan Littel e in “Un tram che si chiama desiderio” di Tennessee Williams: uno studio filologico e analitico del testo per sviscerarne tematiche, sottotesti, significati, simboli e restituire al pubblico il senso principe. Ne “Il Servitore” Latella, infatti, desidera portare sulla scena, nella prima parte dello spettacolo, il realismo del testo goldoniano e comprenderne ancora la validità nel contemporaneo.

Sulla scena, quindi, la drammaturgia pone l'accento su dinamiche sociali quali la forza del più ricco sul più debole che si sviluppa in due direzioni. Innanzitutto nell'umiliante servilismo di Brighella (Massimilano Speziani) direttore dell'albergo in cui si svolge la scena, nei confronti del migliore cliente, il ricco Pantalone (Giovanni Franzoni). Successivamente nel rapporto tra lo stesso Pantalone e la cameriera creola Smeraldina (Lucia Pereza Rios) che conduce la sua battaglia per scardinare questo stato di soggezione. Sempre il personaggio del signore veneziano è l'oggetto anche della contestazione della figlia Clorice (Elisabetta Valgoi) desiderosa di decidere con la propria coscienza il proprio marito ossia il giovane Silvio (Rosario Tedesco) e non Federigo, come invece le impone suo padre.

Il minimo comun denominatore di queste dinamiche è la ricchezza, l'economia che allo stesso modo governano anche il rapporto tra gli innamorati L'Arlecchino di Latella: realismo, menzogna, distruzioneClorindo (Marco Cacciola) Beatrice (Federica Farcassi) costretta, dopo la morte di Federigo, a travestirsi da Federigo per ingannare Clorice, sposarla per ottenere la sua ricca dote. Sembrano quindi prevalere nella messa in scena di Latella tematiche negative come l'approfittarsi, le macchinazioni, gli imbrogli, la menzogna che in scena appaiono condensate in Arlecchino, interpretato da Roberto Latini.

Nel suo costume bianco, nel suo volto gommoso, nel suo linguaggio a metà tra l'italiano, il veneziano e il lombardo, nel suo essere una marionetta dinoccolata e priva di spina dorsale (in questa caratterizzazione Latini è superbo) si scaricano le psicologie distrutte e annientate degli altri personaggi. Con la sua menzogna, con il suo essere approfittatore e meschina sanguisuga dei drammi altrui, l'Arlecchino di Latella subisce da parte di tutti gli altri interpreti esplosioni di parole, raffiche di gesti e violenze, corredate da musica e luci altissime e intense, e a cui lui non risponde.

Il realismo del testo di Goldoni è, quindi, nero, cupo, edulcurato dai falsi sorrisi di Brighella, perché Arlecchino è così. Allo stesso modo Federigo è un personaggio negativo, perché la sua morte distrugge il presente e il futuro di tutti i personaggi. Per questo motivo in scena Arlecchino è anche Federigo. La menzogna, quindi, distrugge tutto e anche il teatro, perché il teatro nella sua intima natura è anche menzogna. Arlecchino, coadiuvato dagli altri attori, smantella la scena, fino all'apparire del teatro stesso in cui gli attori si immergono ancorate a delle sedie.

L'Arlecchino di Latella: realismo, menzogna, distruzioneQuesta è la rivoluzione del servitore ossia scardinare l'oscuro realismo proposto in precedenza, per mostrare la vera identità degli attori, della messa in scena, del testo. Beatrice, un'intensa e coinvolgente Fracassi, non perde la speranza, vuole ricominciare, ma il suo è un tentativo disperato. La ricostruzione avviene attraverso il recupero della tradizione di Goldoni e di chi ha reso celebre Arlecchino in teatro.

Così il “Servitore” di Latella, sotto indicazione precisa degli altri attori che scandiscono e dichiarano il copione goldoniano compreso di didascalie, ripropone più volte il “lazzo della mosca” nei celebri movimenti di Marcello Moretti nell' “Arlecchino servitore di due padroni” diretto da Giorgio Strelher. La rinascita è compiuta in quanto Arlecchino riacquista la sua intima natura che lo porta a declamare la radice etimologica e storica del suo nome, permettendo, così, al pubblico di costruire il futuro del personaggio.

“Il servitore di due padroni” di Latella e Ponzio concettualmente, quindi, si propone come uno spettacolo alla ricerca della natura del teatro e dei suoi elementi costituenti, riflettendo in particolare sull'idea di menzogna. I passaggi attraverso cui si esprime il processo sono scanditi da alcuni elementi stilistici già visti nel teatro di Latella, quali l'uso del microfono come espressione del subconscio dei personaggi; le urla per manifestare la disperazione e il malessere; le luci puntate con intensità sul pubblico; i movimenti continui e frenetici dei personaggi; la musica come elemento di disturbo e di risveglio intellettuale. In questo modo, però, nel complesso della messa in scena l'immagine e la visione tendono a travalicare il messaggio e il contenuto.L'Arlecchino di Latella: realismo, menzogna, distruzione

I legami tra i personaggi, i riferimenti al teatro contemporaneo da Beckett alle inquietudini umane di Pinter, fino al delirio caratterizzante il Teatro dell'Assurdo, sono percepite a fatiche dal pubblico che rimane scosso e infastidito dalla violenza della rappresentazione. Latella, in conclusione, ne “Il Servitore” desidera afferma che il teatro è realismo, interpretazione, studio, menzogna e inganno.

Si può aggiungere che il teatro è anche intrattenimento e soprattutto riflessione. Quindi se il pubblico esce dal teatro durante la rappresentazione, come è successo al Teatro Goldoni, sbaglia, perché il senso di un'opera si percepisce solo alla fine. Se, però, il pubblico esce al termine dello spettacolo turbato e confuso e senza spunti di riflessione, idee o domande le cause sono da ricercare nel modo in cui lo spettacolo è stato strutturato.

Nelle foto di Brunella Giolivo

Dall'alto: il Cast, a seguire da sx Giovanni Franzoni, Lucia Peraza Rios e Massimiliano Speziani, Roberto Latini e Federica Fracassi e Federica Fracassi e Marco Cacciola.

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