La crescita di Billie Eilish

“Hit Me Hard And Soft” è un viaggio alla ricerca dell’autenticità, dell’essenza originaria per una giovane artista travolta da un successo inarrestabile, che l’ha portata a confrontarsi con se stessa e i suoi demoni.


La realizzazione della copertina è già di per sè una metafora che spiega il terzo album per un’artista che rappresenta, fin dall’inizio della sua carriera, una felice anomalia nel business musicale mondiale, spesso basato su numeri immediati e musica che tende a uscire e consumarsi rapidamente, senza lasciare segno nel tempo.

Billie Eilish, per realizzare la foto, è rimasta per il tempo necessario allo scatto arenata su un fondo di una piscina, con un peso che le impediva di risalire, a rappresentare la sofferenza, lo sforzo che chiunque dovesse fare per raggiungere un obiettivo o semplicemente provare ad evolvere dalla banalità, dalla superficialità, per aprire la porta della propria realizzazione.

Billie si è trovata in breve tempo ad essere da ragazzina sconosciuta a star globale, in una fase delicata della sua vita (dai 17 anni ai 23 di adesso) e della società mondiale, passata attraverso una pandemia e con lo spettro di una guerra mondiale.

E’ forse per salvare in primis se stessa se la cantautrice ci ha tenuto, a costo di rinunciare ai numeri di cui sta godendo, a inseguire un concetto di autenticità più tortuoso e difficile, proprio oggi che le basterebbe standardizzare e fare fruttare al meglio la sua formula musicale strizzando l’occhio allo star system per garantirsi un futuro sicuro.

«Se faccio una cosa e non soffro, mi sembra di non farla bene», queste sono parole sue, di una ragazza che sta affrontando un periodo di transizione, di crescita, essendo lei parte di una generazione che non si riconosce nel mondo degli adulti e delle loro classificazioni, ideali e di genere, e che sente addosso la responsabilità di abbattere questi inutili muri.

Già a partire dalla minimale ballata “Skinny” si parla della disformìa tra persona e personaggio pubblico, del bisogno di tutelare la propria normalità e rifugiarsi nel proprio essere giovane e adolescente per avere una crescita non distorta dall’arrivismo e dalla dipendenza del consenso altrui.

La musica nell’album prende direzioni inaspettate, persino all’interno del brano stesso, “L’Amour de ma vie” e “Bittersuite” rompono le loro stesse convenzioni, così come “Lunch”, con un basso funky e un andazzo pop quasi alla Prince, celebra il sesso e il piacere in maniera spensierata.

La Billie cupa la ritroviamo in “The Greatest” e “Chihiro” dove il tema è sempre quello della crescita e del cambiamento. “Birds of a Feather” il brano più pop tradizionale quasi una “Last Christmas”, mentre “Wildflower” ha un crescendo melodico intenso, uno dei più belli mai sentiti da lei.

“Blue” chiude il disco con una moderna e allucinata suite (come si faceva negli anni ’70) che riprende versi delle altre canzoni del disco, come in un delirio finale, che si chiude chiendosi “But when can I hear the next one?”, “Quando ascolteremo la prossima, dunque?”. Con una produzione curata come sempre dal fratello Finneas, BIllie afferma sè stessa, costi quel che costi, con un album per niente facile e immediato ma che rappresenta quello chè lei ora, perchè l’unica via onesta all’arte è l’autenticità, al pubblico (e ai posteri) rimane l’ardua sentenza.

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Fabio Alberti

 

 

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