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L'ottava edizione del Festival di corti, documentari e sceneggiature ha dimostrato di aver raggiunto una sua personale dimensione.


Il Lago Film Fest è il cinemaOriginalità, artisticità, curiosità sono aggettivi che possono definire il Lago Film Fest. L'ottava edizione, da poco conclusasi, ha dimostrato, però, che la rassegna di cortometraggi, documentari e sceneggiature organizzata da Viviana Carlet e Carlo Migotto si fonda anche su una proposta cinematografica concettualmente e visivamente di qualità.

Ciò si è evinto innanzitutto dai lavori internazionali, in particolare quelli vincitori. La giuria, composta da un gruppo eterogeneo di operatori della visione, Max Hattler è un artista, Nerazzini un giornalista-documentarista, Martignoni è un conoscitore dall'animazione, Angela Rafanelli dalla televisione, Stefano Barcaroli dalla critica cinematografica, ha premiato il corto "A Fàbrica” di Aly Muritiba che ha raccontato la disumanità delle carceri del suo paese con un linguaggio puro e scarno che vuole esporre senza patetismi. Visivamente dinamico, frizzante e surreale è stato, al contrario, “Insignificant details of accidental episode” di Mikhail Mestetskiy insignito di una Menzione Speciale.

Il corto si focalizza sul valore della vita, sulle scelte e sulle opportunità proposte, utilizzando il surreale e l'insensato, per essere maggiormente incisivo, per far prima ridere e poi riflettere. Anche “ En Boite” di Mathiu Paquier appare improbabile narrativamente, perché racconta la storia di un uomo e dei suoi lavori impossibili. Proprio in questo, però, risiede il valore di questa pellicola che utilizzando l'assurdo permette di pensare all'uomo contemporaneo costretto a piegarsi a qualsiasi lavoro per sopravvivere. Più ironici, ma non meno drammatici sono “Tuba Atlantic” di Hallvar Witzo che parla della volontà di non arrendersi di fronte alla morte e "Bear" di Nash Edgerton che propone la stupidità umana come valore fondamentale della vita dell'uomo.

In questo panorama concettualmente molto ricco, ahinoi, non possono essere inseriti i cortometraggi di produzione nazionale. Hanno dimostrato di essere ancora alla ricerca dell'estetica visiva e di una poca volontà da parte dei registi di sperimentare linguisticamente e concettualmente. Un esempio è "La casa di Ester" di Stefano Chiodini in cui per narrare le violenze domestiche di un marito nei confronti della moglie il regista si perde in una ricerca di immagini e di metafore visive svianti e poco armoniose con il resto della pellicola. Oppure "Nel mio giardino" di Andrea Corsini in cui l'immaginario orrifico cui si riferisce si perde nella ricerca dell'effetto visivo, così da confondere lo spettatore sulle intenzioni narrative e concettuali del corto.

Perché il cortometraggio italiano, quindi, al contrario del documentario che ancora risulta riflessivo e affascinante, non riesce a essere convincente? L'edizione di quest'anno del LFF può fornire una sua personale risposta grazie alla scelta della giuria del Premio “Rodolfo Sonego” alla migliore sceneggiatura di non assegnare il premio. Degli otto scritti in lizza nessuno ha ricevuto la menzione e il bonus di 1000 euro. La motivazione principale è stata la mancata attinenza dei testi al tema prescelto "la finestra". Durante la conferenza che ha annunciato il non premio, inoltre, i giurati hanno messo in evidenza la poco incisiva capacità linguistica e concettuale delle sceneggiature. Insomma un bel problema a cui si spera il Lago Film Fest nelle prossime edizioni possa fornire una soluzione.

Tralasciando riflessioni sul futuro della sceneggiatura italiana, il Festival di Revine ha espresso complessivamente, come detto un buon livello filmico. Questo grazie agli organizzatori e alle loro scelte più cinematografiche. Rispetto all'edizione del 2011 quella di quest'anno è stata più vicina al cinema. Il pubblico ha avuto maggiori occasioni per assistere a dibattiti, come nel caso del Premio Sonego, per conversare con gli addetti al settore, ad esempio con i membri della giuria Nerazzini e Hattler e per godere di un programma più sfaccettato nella proposta. Di grande interesse, ad esempio è stata la rassegna "Soy Sudamerica", curata da Clara Migotto.

É stato un piccolo compendio di circa nove cortometraggi ben assemblati cha hanno dimostrato lo stato della cinematografia latina, sperimentale, ironica e narrativamente contemporanea.  La sezione “Nuovi Segni”, invece, ha mostrato le contaminazioni visive del cortometraggio, come si evolve per diventare, come nel caso di “Shelter” di Ismail Basbeth una sola immagine. In un unica inquadratura la regista ha narrato l'amore tra due giovani seduti in bus con una poesia e una tensione drammatica così profonda da portare lo spettatore in quel contesto.

Insomma il cinema al centro del Lago Film Fest. Certo deve ancora migliorare soprattutto nella scelta della strumentazione tecnica e nella diffusione mediatica e commerciale, ma ha una buona base su cui lavorare ossia la voglia di proporre un cinema di qualità, strutturato sull'innovazione concettuale, tecnica e linguistica.

Foto di Carlotta Arrivabene

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