Elio De Capitani e Ferdinando Bruni propongono il testo di Peter Morgan basato sulle interviste concesse da Richard Nixon al giornalista David Frost nel 1977. Nella rappresentazione da loro proposta si evince il modo e il perché in cui televisione e storia si intrecciano.
Nel 2006 Peter Morgan scrivendo il dramma Frost/Nixon, ha voluto riflettere sulla storia e il suo intreccio con lo spettacolo e la televisione. Per fare ciò ha scelto due uomini, il giornalista televisivo australiano David Frost e Richard Nixon e le quattro interviste che il primo fece all'ex presidente degli Stati Uniti dopo le sue dimissioni a seguito dello scandalo Watergate. Nel testo di Morgan i due uomini appaiono molto diversi. Frost vive nella televisione, ha sempre un bel sorriso, è piacente, divertente e nel suo programma ascolta i drammi della gente.
Nixon è Nixon. É cupo, sinistro, macchinoso; è un carro armato che passa sopra ogni critica e riesce a uscire quasi indenne dal più grande scandalo della storia americana, il Watergate. Eppure anche Nixon è ricordato come un presidente mediatico per il suo incofondibile sorriso e per il gesto delle dita in segno di vittoria che sventolava continuamente. Tale struttura drammaturgica è comprensibile senza necessariamente conoscere i fatti e i personaggi, perché in Frost/Nixon la storia si racconta attraverso i due protagonisti, le loro psicologie e personlità che cambiano per il potere della televisione.
Questo è l'elemento chiave della messainscena Frost/Nixon curata da Elio De Capitani e Ferdinando Bruni, prodotta da Teatro dell'elfo e Teatro Stabile dell'Umbria. La televisione domina la scena, sia materialmente attraverso piccoli schermi sistemati sul palco che attraverso la caratterizzazione dei due personaggi principali. Sia l'anchorman australiano, Bruni, che il Presidente Nixon, De Capitani, quando appaiono in televisione appaiono convincenti, precisi, spettacolari nelle affermazioni e nei racconti storici, al contrario della fragilità psicologica che dimostrano lontano dalle telecamere.
Per questo motivo in scena i due attori al momento di porre le loro sedie al centro del palco, ossia quando inizia il loro confronto, cambiano tono, frasi, modo di essere, lasciano ansie e paure, per concentrarsi su come convincere il pubblico della loro bontà e verità. Frost e Nixon divengono così due personaggi mediatici, due uomini che si spogliano della loro personalità, per assumere una maschera utile al potere della televisione.
Frost e Nixon, quindi, sono parte dello stesso sistema, ma la storia si basa sui fatti e non sulle apparenze. Quindi al momento dell'ammissione di colpa di Nixon, quando chiede scusa agli americani per averlo ingannato nel processo Watergate, trionfa la storia, il giusto, ma anche la televisione. Nel momento in cui Frost incalza l'ex presidente con fatti e prove del suo coinvolgimento nel Watergate, il Nixon di De Capitani si smarrisce, si incupisce, svela la sua fragilità, mascherata dalla tracotanza mediatica fino a quel momento espressa. Scenicamente in questo momento le luci si affievoliscono e la luminosità dei monitor disseminati sul palco si accende, come a voler materializzare lo zoom della telecamera che inquadra sempre più stretto il personaggio indifeso e nudo, per sottolineare il suo essere patetico e commuovente. Questa è la televisione.
Al culmine del climax ascendente di tensione, quindi, il confronto tra i due lottatori mediatici termina. In questo istante il pubblico comprende l'esigenza artistica di De Capitani e Bruni. I due registi hanno voluto ragionare sulla caduta dei miti e degli ideali dell'uomo, comprensibili nella sconfitta di Nixon, ma soprattutto in che modo lo spettacolo e la televisione nella contemporaneità sia fonte di verità, si sia eretto come canale di trasmissione del vero e come la storia si adatti a queste logiche per affermarsi.