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Il Maestro Kristian Lupa propone la storia di tre fratelli nel cui mezzo scorre amore, odio e un massacro. Sarà davvero solo la storia di una famiglia?


42° Biennale Teatro - Ritter, Dene, VossLa sensazione percepita dal pubblico osservando “Ritter, Dene, Voss” di Kristian Lupa basato sul testo di Thomas Bernhard del 1984, è di essere parte di quanto accade sul palco. La scena è un interno di una casa appartenente alla medio-alta borghesia russa. Grandi quadri di vecchi ritratti sono appesi alle pareti; la tappezzeria appare ben stesa; i mobili sono antichi e ben conservati. Due donne conversano; sono due sorelle, ex attrici. Una è seduta su una poltrona, indossa una vestaglia: beve e fuma. L'altra sta preparando una tavola da pranzo, portando le stoviglie dalla cucina.

Quest'ultima è fremente in quanto sta per tornare a casa il fratello Ludwig, dopo la degenza volontaria in un ospedale psichiatrico. L'altra sorella invece non capisce perché la donna sia così felice del ritorno del fratello a casa, considerando il suo carattere spigoloso e la sua alterigia. Nel secondo atto i tre protagonisti sono seduti a tavola per la cena. Ludwig in apparenza sembra tranquillo, ma tiene solo a bada il suo malessere e il suo odio.

Quando questo esplode, l'uomo sfodera la sua violenta ed efferata critica nei confronti del mondo, della sua famiglia e delle sorelle. Manifesta il suo disprezzo con forza, mentre uno delle due donne si nasconde sovrastata dalla forza dell'uomo e l'altra cerca di tenere intatta la scena che il fratello sta distruggendo fisicamente e concettualmente. Questo è in sintesi lo spettacolo che il pubblico della Biennale Teatro, in anteprima nazionale, ha studiato, compreso, interpretato.

In scena sono rappresentate le dinamiche affettive di tre fratelli, interpretati da Malgorzata Hajewska-Krzysztofik, Aglieszka Manbat e Piotr Skiba, attraverso la rivelazione di una serie di tessuti conoscitivi reciproci fin a quel momento sconosciuti. Soprattutto nel secondo atto, il regista propone il massacro, lo scardinamento del sacro nucleo familiare, attraverso la dichiarazione d'odio di ogni protagonista. Ciò avviene senza urla, ma con una lenta e precisa declamazione del male di ognuno, punteggiata da piccoli accenti.42° Biennale Teatro - Ritter, Dene, Voss

I gesti appaiono molto misurati, precisi, calibrati e appunto per questo carichi di una violenza inaudita, come fossero regolati da una forza misteriosa. Tale potere non è altro che l'inconscio, il lato scuro, il rimosso che alberga in ogni uomo e alla sua famiglia e che si esprime attraverso una parola tagliente e criminale. É il profondo più nero che, quindi, governa anche l'animo di chi osserva. Il pubblico attraverso la dinamica familiare vede manifestarsi il proprio essere, per questo ne rimane ipnotizzato, rapito, quasi schiavo.

Questo motiva la scelta di Lupa di porre sul proscenio una cornice nera con un filo nero che la taglia a tre-quarti sul lato lungo. É uno schermo ipnotico che mostra l'interno l'inconscio dominato dalla falsità e dal desiderio di distruzione del proprio simile. Ciò si evince soprattutto da quello stato di stasi, di lenta evoluzione su cui lo spettacolo è costruito. Più dei gesti e dei movimenti, è la parola che colpisce chi osserva e imprime nella sua mente il reale significato di ciò che vuole esprimere.

Per questo motivo, anche nei momenti di maggiore ira e confusione, come nel finale, gli attori mantengono un controllo e una precisione nel parlare, quasi innaturale. La loro tecnica e immedesimazione sono da manuale. In loro nessuna sbavatura, nessuna imperfezione, né personale ridondanza, nessun proprio commento, solo il testo, la parola, la perfetta comprensione e interpretazione di quanto stanno comunicando.
Questo è l'inconscio dell'uomo, la sua torbida natura, il suo naturale modo di pensare. “Ritter, Dene, Voss” è il teatro per l'uomo.

Crediti fotografici: © M. Gardulski

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