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A Venezia si presenta un bravo regista e drammaturgo argentino con le idee chiare sull'uomo di oggi.


42° Biennale Teatro - El viento en uno violinClaudio Tolcachir drammaturgo, regista, docente, attore argentino sa bene quale sia uno dei valori primari del teatro: spiegare all'uomo la sua realtà, il suo quotidiano, i drammi e le gioie del suo vivere. “El vento en un violin” si è presentato agli occhi del pubblico della 42° Biennale Teatro di Venezia come un'analisi profonda e intima della società e della condizione di vita dell'uomo.

Lo spettacolo affronta i temi dell'instabilità dei rapporti, della fragilità degli individui, della disperata necessità da parte dell'uomo di attaccarsi a qualcosa o qualcuno, dell'isolamento e perdita dell'uomo nei confronti di uno stato di cose che premia e valorizza solo determinate figure. Questo è il più grave dramma: la società non considera tutti gli uomini con le sue problematiche, così da schiacciarli o eliminarli. A questo punto l'individuo è costretto a contare sulle proprie forze e a cercare di realizzare la propria vita con ogni mezzo.

Questo è ciò che hanno in mente Lena e Celeste, Inda Lavalle e Tamara Kiper, che coltivano il loro amore nella speranza di avere un figlio.  Serve un uomo, però. Lui è Dario, lo stesso Tolcachir, un bambinone cresciuto solo nel fisico che va dallo psicologo e cerca di uscire dalle amorevoli cure di una madre troppo apprensiva. Una sera le due ragazze circuiscono prima e obbligano dopo, minacciandolo con una pistola, il povero Dario e inseminare Lena. La gravidanza riesce. Le due madri, ora, allevano la loro creatura insieme a Dario che non ha la minima intenzione di abbandonarlo.

Le storie dei protagonisti sono condotte separatamente, ma allo stesso tempo sono unite scenicamente e concettualmente. Sul palco Tolcachir inventa un gioco di luci che di volta in volta inquadrano le diverse scene e azioni dei personaggi. Sono piccoli frammenti di illustrazione di un tessuto umano comune. Dario e Lisa e Celeste sono due storie tenute insieme dal reciproco senso di inadeguatezza nei confronti della loro presenza nel mondo. Sgusciano da una società che li vuole incasellare nei suoi schemi e cercano con forza e autorità di imporre lo loro personale visione di vita.42° Biennale Teatro - El viento en uno violin

Da un lato, quindi, le due ragazze coltivano il loro amore omossessuale scontrandosi con l'incomprensione degli uomini; dall'altro Dario è la rappresentazione del male di vivere. Intraprende delle sedute dallo psicologo per cercare di migliorare se stesso, ma in realtà accentua solo la sua fragilità perché il dottore si dimostra uno sterile analizzatore della sua psiche. Il ragazzo cerca amore, un contatto, un legame e urla questa sua insoddisfazione in una litigata con lo psicolgo talmente eccessiva, da risultare divertente. La madre di Dario, inoltre, non lo capisce, non sa come relazionarsi a lui.

É immersa nel suo vorticoso lavoro e accudisce, di conseguenza, il figlio con attenzioni vane e superficiali. Sono proprio le due ragazze a soddisfare il bisogno di affetto del ragazzo. Lui, infatti, si lega a loro e al bambino con un amore viscerale e profondo, intimo e personale, perché solo quando lo abbraccia il piccolo comprende il suo scopo di vita.

Tutta la rappresentazione è raccontata con il sorriso. Il pubblico ride molto nell'osservare in che modo i protagonisti si arrangiano sentimentalmente per vivere. É un riso scaturito dal loro essere paradossale, dai loro comportamenti, dalla loro disperazione e dalle parole surreali che sono generate da un istinto teso all'obiettivo, senza sapere che strada percorrere.

“El vento en un violin”, quindi, appare pervaso da una profonda verità che affonda le sue radici in quel senso di smarrimento post crisi economica argentina nel 2001. Tolcachir analizza questo malessere con una precisione e accuratezza data dalla profonda conoscenza di quanto sta narrando.

Nelle foto da in alto a sinistra: El viento en un violin c.Magali Hirn e El viento en un violin Giampaolo Sama

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