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Dario Franceschini, Ministro dei Beni Culturali e del Turismo annuncia agli Stati Generali della Cultura del Sole 24 Ore il Piano Tariffario: a pagamento per tutti sopra i 25 anni e ingresso gratuito la prima domenica di ogni mese.


Rivoluzione del piano tariffario dei musei"Grazie al Presidente Benedini, al Presidente Emanuele, al direttore Napoletano, che ha creduto in quest’iniziativa, e quindi non soltanto per le cose di oggi, ma per la strada tracciata in questi tre anni, in cui sono emerse molte cose nel dibattito attorno ai temi della cultura al nostro Paese che sono serviti a smuovere le acque, a indicare una strada, che è quella su cui stiamo cercando di lavorare, facendo i primi passi. Sono, infatti, soltanto i primi passi ma, come è stato ricordato e di cui ringrazio, anche significativi.

È stato ricordato prima, ma la mattina in cui sono andato a giurare come Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e i giornalisti, come sempre accade, erano davanti al Quirinale e mi hanno messo i microfoni davanti alla bocca, ho pronunciato quella che poteva sembrare una battuta: «Mi sento chiamato a guidare il ministero economico più importante di questo Paese». In realtà, devo dire tre mesi dopo e senza emotività che sono certo di guidare il ministero economico più importante di questo Paese perché il mondo sta cambiando. Nel mondo che cambia, che si integra, nella globalizzazione, dove scompaiono le distanze, le frontiere, le aziende delocalizzano, è finita per sempre la stagione in cui le economie nazionali possono essere competitive su tutto. Non si deve smettere di fare alcune cose, ma nel mondo della globalizzazione, in questo processo così accelerato, ogni economia nazionale, ogni Paese deve individuare la propria vocazione e su quella costruire delle scelte, delle priorità.

Ci saranno Paesi che hanno le materie prime e investiranno su quelle; quelli che hanno ancora un basso costo della manodopera; quelli che hanno le grandi estensioni territoriale. Cosa abbiamo noi di vincente se non la bellezza, la storia, il nostro patrimonio monumentale, archeologico, culturale, il talento, la creatività, cioè tutte quelle cose dal Rinascimento, e non solo, in poi hanno fatto forte il nostro Paese, quanto abbiamo saputo investire su questo? Investire nella cultura è una scelta economica per questo Paese, sapendo che veniamo da anni di responsabilità, di tagli. Dal 2000 a oggi si sono alternati vari Governi: per tutti i capitoli che riguardano la cultura ci sono stati tagli enormi, fino a impoverire, dal punto di vista delle risorse, anche per gli interventi più urgenti la manutenzione, il restauro.

Al di là dei colori, naturalmente in misura diversa, dei Governi che si sono alternati, non c’è mai stata nella politica italiana la consapevolezza che, se questa è la nostra vocazione, su questo bisogna investire e non affidare la battaglia al singolo Ministro della cultura, bensì farla diventare una battaglia complessiva del Governo e del Parlamento. Questa è la risorsa che può renderci competitivi e vincenti. La globalizzazione, che è stata vissuta come un terrore per la nostra economia, in realtà offre opportunità straordinarie. Investire sulla nostra bellezza e la nostra capacità di fare offerta culturale è una condizione non soltanto per attrarre turismo. Sapete che, secondo le classifiche, fino agli anni Settanta eravamo il primo Paese e siamo diventati il quinto per attrazione di turismo internazionale, ma siamo tuttora il primo in quanto ai desideri di viaggio, compresi i turisti cinesi, russi e tutti i turisti nuovi che stanno entrando nel mercato globale.

Si capiscono, quindi, le potenzialità enormi non solo per il turismo, ma anche per attrarre investimenti. Quando si va nella parte dove conta meno il costo del lavoro e conta più l’intelligenza, la parte alta della filiera produttiva, se una grande azienda che investe deve scegliere se andare in un brutto Paese o in un bel posto dove c’è offerta culturale, bellezza, paesaggio, si mangia bene, si vive bene, sceglie quest’ultimo. Quindi, anche tutelare la nostra bellezza è una condizione per vincere la sfida economica. Questo è quello che dobbiamo fare, sapendo anche che gli investimenti nella cultura sono quelli che rendono di più. Ho letto, nella ricerca presentata ieri da Unioncamere insieme a Symbola, che per un euro investito nella cultura c’è 1,7 euro di rientro. Ci sono, quindi, anche ragioni economiche.

Vorrei che questa diventasse una battaglia collettiva del Paese, non soltanto del Governo. Ad esempio, sul decreto cultura c’è in Parlamento un clima molto positivo tra maggioranza e opposizioni, perché davvero dovrebbero essere argomenti che attraversano trasversalmente il Parlamento. Ci sono tanti temi su cui possiamo scontrarci! Su quelli su cui possiamo costruire una missione del Paese, al di là dell’alternanza fisiologica dei Governi, dovremmo farlo nel modo più largo e condiviso possibile, e spero che sia così.

Questo decreto, come tutti i decreti-legge, contiene misure urgenti; non è la risposta definitiva. Per carità, servono interventi strutturali, serve un ridisegno, soprattutto dopo avere positivamente unito Cultura e Turismo, serve una riforma del Ministero, su cui stiamo già lavorando, che deve introdurre anche dei criteri nuovi. Ne cito solo uno, perché si è parlato di periferie urbane, anche nella traccia della maturità. Noi siamo un Paese che giustamente investe sulla tutela, sulla conservazione, perché abbiamo questo straordinario patrimonio, ma dobbiamo guardare anche un po’ avanti. Nella riforma del mio Ministero ci sarà un grande investimento sull’arte e l’architettura contemporanea perché dobbiamo guardare avanti, oltre alla tutela, perché abbiamo dei giovani architetti, dei talenti formidabili costretti ad andare in giro per il mondo. Eppure anche il Colosseo era arte contemporanea! Anche i Bronzi di Riace lo erano! Nel momento in cui tuteliamo, dobbiamo anche guardare al futuro, a come dobbiamo fare un grande investimento sull’educazione alla cultura, che parte dalle scuole, da un rapporto con il Ministero dell’istruzione.

Nel decreto ci sono misure urgenti, che riguardano diversi settori, dal cinema alla musica, al turismo. Siamo il primo Paese al mondo che prevede un incentivo per la digitalizzazione delle strutture ricettive. Abbiamo una grande arretratezza e si prevede un credito di imposta del 30 per cento per gli alberghi e le strutture ricettive che investiranno in digitalizzazione. Ce n’è un secondo per il recupero e ristrutturazione del patrimonio alberghiero. Sono anche questi primi passi.

Poi c’è il provvedimento dell’Art Bonus, che è stato ricordato. È un tema che voi avete affrontato negli Stati generali; il Sole 24 Ore ha condotto al riguardo delle battaglie. È stato tentato da vari Governi, ma c’è sempre stato il problema dei costi. Questa volta abbiamo previsto un incentivo che ci mette davanti, insieme alla Francia, a quasi tutti gli altri Paesi europei. Il 65 per cento di detrazione di imposta, come l’ecobonus, ma non in dieci anni come in quel caso, bensì in tre anni, è davvero un incentivo molto forte, anche perché non ha tetto massimo (quindi, vedremo quante minori entrate comporterà per lo Stato) e non ha limite minimo. Vale per 10 euro e vale per 10 milioni di euro; vale per i cittadini e vale per le imprese. Quindi, è un provvedimento molto forte, è già in vigore e non richiede regolamenti attuativi. La norma l’abbiamo scritta immediatamente applicativa, quindi se si dona immediatamente c’è questo vantaggio fiscale molto forte.

Vorrei dirlo con chiarezza, non ci sono più alibi. C’è stato questo dibattito surreale tardo ideologico, che io ho cercato di rompere appena arrivato: il pubblico e il privato. Se addirittura abbiamo paura di un privato che fa un atto di mecenatismo, di liberalità, per il patrimonio pubblico, vuol dire che siamo in un altro mondo. Adesso quel tema non c’è più. Ci sono le regole, c’è una convenzione-tipo, c’è un incentivo fiscale più forte. Adesso aspetto i privati.

Sono stato ieri a visitare quello straordinario luogo che è la Domus Aurea, non solo nella parte che fu aperta ma anche nella parte che non lo è ancora. È una cosa inimmaginabile, di una bellezza straordinaria. Si pensi, essendo di fianco al Colosseo, a quello che può diventare quell’area. Alla Domus Aurea, tanto per capire, ci sono settanta operai che lavorano ogni giorno, che vanno avanti con il restauro; non è chiusa, è un cantiere vivo. C’è un cronoprogramma molto preciso che prevede la conclusione dei lavori e la riapertura in quattro anni. Il bene verrà riconsegnato al mondo. Questo costa 31 milioni di euro. Al momento lo Stato non li ha, o non li ha tutti. Ebbene, di fronte a un progetto che è sotto gli occhi di tutto il mondo, francamente mi aspetto che soprattutto le grandi imprese italiane sgomitino per offrirsi, per avere il beneficio fiscale dell’Art Bonus e per legare il proprio nome al recupero di una cosa che è patrimonio di tutto il mondo. Questo è quello che dovrebbe accadere ed è la prova di un’integrazione pubblico-privato.

Concludo, perché voglio dire poche cose ed è inutile fare un elenco di cosa è stato fatto. Ripeto che sono i primi passi, c’è tanto da recuperare e c’è tanto da fare. Penso che uno dei temi, di cui si è parlato anche questa mattina, sia rompere un altro tabù, cioè l’introduzione di una cultura manageriale – chiamiamola così – che si affianchi – per carità di Dio, non è sostitutiva – alla tutela e alla cura scientifica che ci sono già nei nostri musei e che cerchi di capire che questo patrimonio straordinario che abbiamo, oltre a tutelarlo, possiamo anche valorizzarlo. Questo è quello che c’è scritto.

Ringraziandolo per le cose che ha detto, ho un punto di dissenso con il professore Emanuele: i nostri padri costituenti avevano davvero la vista molto lunga e nell’articolo 9, che io lascerei così, ci sono tutti e due i princìpi.  Nel secondo comma c’è la tutela, ma nel primo comma ci sono la promozione e lo sviluppo della cultura, quindi la valorizzazione. Ci sono già le due cose insieme. Per quale motivo noi dobbiamo infilarci in questo Paese in un dibattito per cui la tutela e la valorizzazione sarebbero in contrasto? Anzi, la tutela del nostro patrimonio culturale, del paesaggio e della bellezza è proprio la condizione per farlo fruttare – uso questo termine che non mi piace – per valorizzarlo e per farlo diventare anche un veicolo di crescita economica. Occorre tutelare la bellezza e l’integrità del patrimonio, che poi si mette a disposizione di un disegno di crescita, che non è in contrasto con la tutela.

Tutti noi abbiamo un complesso per cui citiamo sempre il Louvre e la Francia, che sono un modello molto diverso. Infatti, noi abbiamo un patrimonio di musei e di siti archeologici diffuso. La Francia è un sistema molto centralizzato, sia dal punto di vista istituzionale che dal punto di vista del patrimonio. Credo che dobbiamo difendere il nostro sistema in questa sua peculiarità. Quando si parla del Louvre come modello, occorre tener presente che al Louvre si fa ricerca, si fa tutela, si fa formazione, si fa conservazione, ma si fa anche marketing, e ci sono molte attività legate, che non danneggiano per nulla e che producono reddito, con il quale poi fanno la conservazione e la tutela.

Perché noi non possiamo far questo e non possiamo uscire da questo dibattito? Abbiamo iniziato a fare, anche in questo caso, dei piccoli passi. Nel decreto ci sono delle norme che consentiranno al sottoscritto, con atti amministrativi, di individuare forme di maggiore autonomia per i singoli musei e per i poli museali, per metterli in condizione di avere una maggiore responsabilizzazione e un maggior margine di libertà e di attività, come avviene per tutti i grandi musei del mondo. C’è una norma che prevede che nei grandi poli museali (questo evidentemente non vale per il museo che ha un grande valore scientifico, ma che fa 4.000 visitatori all’anno, il quale va tutelato e aiutato, ma non ha possibilità di crescita dal punto di vista di una cultura manageriale), al sovrintendente si affianchi una figura manageriale, che si occupi proprio di promozione, di marketing e di valorizzazione.

Come è stato ricordato, abbiamo fatto un provvedimento che francamente mi sembra molto semplice. Come ha detto il professore Emanuele, avevamo un sistema per cui era del tutto indifferente che un museo vendesse 4.000 o 8.000 biglietti e che affittasse la sala o meno, perché le risorse andavano direttamente in un fondo unico al Ministero dell’economia e il trasferimento che arrivava a quel museo era indipendente da quanto realmente vendeva. Abbiamo introdotto una norma per cui trimestralmente trasferiamo ai musei esattamente l’importo dei biglietti venduti e dei proventi delle sale affittate e degli altri servizi. Credo che sia un meccanismo che spinge a una virtuosità, naturalmente mantenendo un meccanismo di solidarietà, perché il piccolo museo con i biglietti non ce la fa. Tuttavia, lo si responsabilizza, spingendolo, anche in questo caso, a valorizzare il nostro patrimonio.

Mi fa molto piacere annunciare qua agli STATI GENERALI DELLA CULTURA una novità, un provvedimento che ho già firmato e che è legato a questa idea di rendere il nostro patrimonio museale più moderno, più dinamico e più forte: dal primo luglio ci sarà una mezza rivoluzione del piano tariffario dei nostri musei. Oggi in Italia un terzo delle persone entra gratis nei musei. Entrano gratis anche i turisti giapponesi o americani se hanno più di 65 anni. Quella è una norma che era legata a un dato tipo di modello sociale. Noi abbiamo fatto una scelta che ci mette in linea con l’Europa e che servirà molto per conferire dinamicità ai musei. È una norma che, come Piero Fassino sa, riguarda lo Stato, ma noi stiamo ragionando, come abbiamo fatto per la Notte dei musei, perché ci sia un’integrazione tra i diversi livelli istituzionali.

Le nuove regole, che saranno in vigore dal 1° luglio, prevedono che resti la gratuità fino a 18 anni e che resti il biglietto ridotto fino a 25. Pagheranno tutti sopra i 25 anni e ci sarà ogni mese la prima domenica gratuita in tutti i musei. Questo consentirà di avere un grande fatto di promozione. Al di là dell’età, si potrà andare al museo la prima domenica del mese gratuitamente, mentre nelle altre giornate ci sarà una normalità. A questo aggiungiamo che rendiamo permanenti le due Notti dei musei all’anno, all’ingresso simbolico di un euro, insieme al Sistema museale dei Comuni.

Altra novità è l’introduzione di una serata alla settimana, il venerdì, in cui tutti i grandi musei saranno aperti fino alle 22, come avviene in grandi Paesi europei, offrendo l’opportunità, un giorno alla settimana, anche a chi lavora o anche a un turista che cominci un weekend il venerdì di andare a visitare un grande museo fino alle 22. Mi pare che questi passi siano passi piccoli, ma che vanno nella direzione di individuare davvero questa come la vocazione del Paese, tutti insieme.

Quando io ho accettato di fare il ministro della cultura, ho visto, anche rispetto ad altre opzioni, con sofferenza, come non si sia creduto in questa attività, come sia stata sempre trattata in modo secondario. Davvero mi sento di mettere a disposizione di questa missione, che non è la mia, ma è quella del nostro Paese, il sistema di esperienza parlamentare, di governo e di relazione che nei diversi anni del mio percorso politico ho accumulato. Sento, infatti, che questa è davvero una missione collettiva. Che riguardi il privato o il pubblico non c’entra nulla. Siamo tutti insieme. È una missione del Paese, che riguarda i diversi livelli istituzionali.

Se questo è vero, potremmo cominciare a costruire un nuovo Rinascimento, in cui l’Italia reinveste su se stessa e acquisisce una forza formidabile nell’era della globalizzazione, purché lo facciamo ognuno per la sua parte, sapendo oltretutto che, l’UNESCO, che bene fa, quando parla dei siti del patrimonio materiale o del patrimonio immateriale, li chiama “patrimonio dell’umanità”, non “patrimonio dello Stato, del Comune, del privato, della Chiesa o del FAI”. Li chiama “patrimonio dell’umanità”. Questa è la logica in cui noi dobbiamo agire.

Abbiamo questo enorme tesoro. Io l’ho detto altre volte: ho l’impressione che camminiamo su un terreno di pepite d’oro e che non ce ne accorgiamo da anni. È su quello che dobbiamo davvero investire e in cui dobbiamo credere, ed è anche soprattutto una grande missione in questa stagione di tagli. Quando si è nella crisi e non ci sono le risorse, la prima tentazione, naturalmente, è quella di tagliare la cultura a livello locale o a livello nazionale. Si taglia lì perché si pensa che sia qualcosa in più. Questo è veramente lo sbaglio che dobbiamo rovesciare. Adesso si è fermata la stagione dei tagli e dobbiamo passare alla stagione degli investimenti.

Io ricordo sempre un episodio che mi pare sia proprio ricalcato sulla nostra crisi. Quando a Churchill andarono a proporre tagli alla cultura per finanziare lo sforzo bellico, guardò i funzionari che glieli erano andati a proporre e rispose: «Ma allora per cosa combattiamo? » Io credo che la risposta sia esattamente questa: combattiamo per uscire dalla crisi. Non tagliamo la cultura, ma anzi investiamo sulla cultura, altrimenti dovremo farci la domanda: «Per cosa combattiamo?». Grazie."

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