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Al Teatro Comunale “Mario del Monaco” di Treviso lo scorso 22 novembre è stata proposta l'opera di Giuseppe Verdi messa in scena nel 1851 e tratta dal dramma “Le roi s'amuse” di Victor Hugo. Ma era davvero il Rigoletto?


Rigoletto e non RigolettoAlla fine del secondo atto il pubblico del teatro di Treviso, accorso a vedere il Rigoletto per la regia di Patrizia Di Paolo e la direzione d'orchestra di Francesco Ommassini, ha applaudito l'aria “Sì vendetta, tremenda vedetta”, cantata da Rigoletto (il baritono Giuseppe Altomare) e sua figlia Gilda (la soprano Scilla Cristiano), con così entusiasmo da portare i due cantanti a ricantare il duetto sul proscenio a sipario chiuso. Il timbro rotondo e avvolgente di Altomare e la vibrante emozione della Cristano hanno emozionato e conquistato il pubblico. Nelle singole interpretazioni, infatti, risiede il principale valore dell'esecuzione vista a Treviso.

Il melodramma scritto da Verdi narra la vicenda di Rigoletto, giullare deforme alla corte del Duca di Mantova nel XVI secolo. Un giorno a causa di uno scherno troppo eccessivo nei confronti del Duca di Monterone il protagonista è vittima di una sua maledizione. Tornando a casa il giullare è triste e cupo e scarica la sua frustrazione su Gilda, la figlia. Questa è scossa dalla parole del padre, ma trova presto una fonte di felicità nella dichiarazione d'amore del Duca che, di nascosto, la seduce, spacciandosi per uno studente squattrinato. Appena Gilda rimane sola, i suoi cortigiani la rapiscono, scambiandola per l'amante di Rigoletto, scaturendo la rabbia dell'uomo.

Il giullare cerca sua figlia e quando la trova, la libera e le mostra la falsità del Duca, interessato più a sedurre altre donne che al suo amore. Gilda è innamorata e perdona l'uomo, ma Rigoletto no e ne commissiona l'uccisione. Per un equivoco, però, a morire è la giovane ragazza e il padre si dispera, ricordando la maledizione del conte di Monterone.Rigoletto e non Rigoletto

Il testo di Piave è una storia cupa e nera. É impostata sui temi del raggiro, dell'approfitarsi dei più deboli, sui vizi, sugli interessi personali, in particolare dei potenti e sulla falsità, caratteristiche queste concentrate principalmente nella figura senza scrupoli del Duca. Rigoletto non è da meno. É un personaggio doppio in quanto è, allo stesso momento, perfido e buono, desideroso di amore e refrattario nei confronti di tutti. Il giullare quando riflette è sinistro, cupo e a volte schizofrenico perché vive le sue emozioni in maniera assoluta, quasi violenta. Non è soddisfatto della sua vita anche perché troppo geloso del candore e delle bellezza di Gilda.

Questa costellazione di doppie valenze morali nella messa in scena curata dalla Di Paolo non emerge in quanto la regista tralascia la narrazione, la caratterizzazione dei personaggi e le relative dinamiche psicologiche, per inserire nella messa in scena simboli in apparente relazione con lo sviluppo del testo scritto da Francesco Maria Piave. Il principale di questi è un tulle calato dall'alto tra proscenio e scena. Su di esso sono proiettate delle tele di Rubens, pittore fiammingo che visse realmente a Mantova nel periodo in cui si svolge il melodramma, con lo scopo di anticipare tematicamente quanto accade sul palco. All'inizio dell'opera quindi, in riferimento alla maledizione lanciata a Rigoletto è stata proposto “Saturno che divora suo figlio”; al principio, invece, del secondo atto è stato proiettato sul tulle “Allegoria della pace” che raffigura tre donne che si ricollegano sulla scena a tre grazie intente ad ammaliare il Duca.

Rigoletto e non RigolettoLa relazione tra il tulle e la scena non è, però, intuibile in quanto la rappresentazione non materializza le diverse tematiche insite nel testo. Questa, infatti, appare statica, immobile, fredda come le scenografie che nemmeno le luci, perché spesso assenti, riescono a rivitalizzare. La messa in scena, così, non vive sia del dinamismo della musica di Verdi che di quello pre barocco delle tele di Rubens. I cantanti, infatti, per scelta registica, non realizzano e compiono i loro personaggi, ma si aspettano di cantare le loro arie, trasformandole nell'unico canale per comprendere i drammi e le cupe atmosfere del testo di Piave e Verdi. In questo modo la vicenda si disgrega nelle singole cantate e lascia il pubblico nell'attesa della loro esecuzione, come nel caso dell'osannato “Sì vendetta, tremenda vedetta” o de “La donna è mobile” o de “Bella figlia dell'amore”.

Il melodramma pensato dalla Di Paolo, inoltre, non è sostenuto dalla musica che il maestro Ommassini calca e accenta con un'enfasi eccessiva rispetto all'immobilismo del palco e, quindi, non in grado di comunicare gli sbalzi d'umore di Rigoletto, le sue ansie e i suoi pensieri e l'intero clima di instabilità emotiva del melodramma. Il Rigoletto proposto a Treviso, concludendo, è stato un Rigoletto senza il Rigoletto.

Foto Piccini – Treviso

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