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Tre media, tre donne, un libro per sconfiggere i pregiudizi e aprire una finestra sugli ultimi dieci anni del paese islamico.


L’Afghanistan non è Bin LadenQuando si dice Afghanistan la stragrande maggioranza della gente pensa a un paese dominato da estremismo e totale mancanza di diritti, soprattutto in riferimento alla condizione femminile. Ciò in parte è vero, almeno se si pensa agli ultimi eventi che hanno colorato di nero la storia di questo paese. Dire Afghanistan equivale a dire Talebani, nulla di più. Se quest’associazione di idee, per molti aspetti comprensibile, era giustificabile fino a un decennio fa sicuramente oggi deve essere messa in discussione. Possibile che in 10 anni, periodo di tempo nel quale il territorio ha visto la presenza di forze nuove cooperanti per il cambiamento, tutto sia rimasto immutato?

E’ vero, la componente tribale, tradizionale è forte, come è giusto che sia, ma questo non implica necessariamente chiusura e ostilità verso l’innovazione. I militari italiani, che operano sul territorio afgano nell’ambito della missione Isaf, hanno contribuito a “costruire” realtà nuove, realtà che la popolazione di certo non ha disdegnato. Il popolo afgano anela al cambiamento, soffre per la presenza dei Talebani il cui triste predominio non è riconducibile al solo fattore religioso, come verrebbe “naturale” pensare, ma al ben più spinoso ed “economico” traffico di oppio.

Che cosa si sa di questa realtà? Che cosa arriva al mondo occidentale, al mondo che si informa di questi ultimi 10 anni afgani? Ben poco, per non dire nulla. Informare, mostrare, sconfiggere l’ignoranza, questa la mission di “Afghan West, voci dai villaggi”, il libro video-fotografico scritto da Samantha Viva con le fotografie di Elisabetta Loi ed il video di Katiuscia Laneri. Il lavoro, frutto di un media tour tra Herat, Shindand e Bala Boluk, è un quadro odierno del paese islamico.

“Afghan West, voci dai villaggi” sarà presentato ufficialmente nel pomeriggio del18 maggio, in occasione del XXVI Salone Internazionale del Libro di Torino, presso lo stand della Difesa. Le autrici hanno risposto alle nostre domande.

Katiuscia Laneri, Elisabetta Loi, Samantha Viva, tre professioniste, tre giornaliste. Come vi siete incontrate?

Samantha Viva: “Il nostro incontro è stato del tutto casuale durante il media tour organizzato dallo Stato Maggiore della Difesa, durante il periodo natalizio, in Afghanistan. Quando parti da embedded non sai mai con quale collega ti capiterà di condividere l’esperienza, né se riuscirai a legarci o semplicemente a svolgere il tuo lavoro senza intralciare il suo. In questo caso è andato tutto abbastanza bene, tanto è vero che tornando a casa abbiamo deciso di mettere a frutto le nostre competenze e di lavorare a questo comune progetto".L’Afghanistan non è Bin Laden

Katiuscia Laneri, Elisabetta Loi: "Noi avevamo già una conoscenza virtuale avviata su Facebook per interessi comuni e il media tour in Afghanistan è sta to solo un'occasione per vederci anche fisicamente. Samantha l'abbiamo conosciuta alla partenza da Pratica di Mare insieme agli altri sette colleghi che hanno condiviso l'esperienza con noi. La "scatola a sorpresa" ha funzionato anche per i colleghi che già conoscevo da tempo miei conterranei. Il bello di queste missioni è proprio quello di incrociare altri professionisti, più o meno esperti, con i quali si crea quasi sempre un legame che va oltre il mero rapporto di lavoro. Questa è stata la mia quinta missione da embedded e ciascuna è stata per me occasione di incontri importanti e durati nel tempo".

Perché l’Afghanistan?

Samantha Viva: “L’Afghanistan è un punto di partenza o di arrivo, se sei interessato alle aree di crisi. Personalmente per me è stato sempre un luogo ricco di fascino, soprattutto perché seguivo con passione, quando ancora nemmeno sospettavo di poterci un giorno arrivare anche io, i viaggi e i reportage di Maria Grazia Cutuli, catanese come me. La sua morte, quando finalmente era quasi riuscita ad arrivare in quei posti che aveva inseguito per anni, è stata una beffa, ha il sapore delle cose incompiute. Per questo, mi sono detta, un inverno di tanti anni fa, se mai dovessi scegliere di raccontare le storie di un popolo diverso dal mio, vorrei cominciare proprio da lì, da quel viaggio interrotto. Lei c’è arrivata dopo un lungo percorso e tanta esperienza, io sono solo all’inizio di un cammino, spero di fare ancora tanta strada e di ritornare presto in quella realtà così vasta e affascinante”.

Katiuscia Laneri: "Il mio è stato un ritorno. C'ero già stata l'anno precedente per realizzare dei servizi commissionatomi da TMnews, RAI e Il Fatto Quotidiano. Lo stesso è stato quest'anno. La risposta è 'perché non l'Afghanistan?'. Vedo il mio mestiere utile solo dove c'è qualcosa da raccontare, se posso far sapere le cose come stanno davvero, e qui c'è tanto da far sapere, capire, troppo da essere soffocato in un servizio di pochi minuti, ecco perché ho accettato l'idea di realizzare un video più ampio a corredo del libro".

Elisabetta Loi: “Il mio interesse per l’Afghanistan nasce nel 2009 durante i cicli di chemioterapia. A febbraio del 2012 riesco ad ottenere il primo incarico da embedded e parto al fianco della Brigata Sassari. Inizio a documentare la missione ISAF e visito alcuni villaggi. La permanenza di soli 10 giorni non soddisfa però la mia curiosità e la mia ricerca. Riparto infatti a dicembre dello stesso anno al seguito della Brigata Taurinense. Con i miei viaggi in Afghanistan vorrei raccontare il lavoro dei nostri militari e raccogliere le testimonianze nei villaggi nel momento in cui è in atto la transizione del potere, vorrei raccontare l'evoluzione di un popolo, e soprattutto il ruolo delle donne afghane. Allo stesso tempo era anche una sfida con me stessa, volevo portare una piccola testimonianza alle donne che come me hanno affrontato o stanno affrontando il tortuoso percorso di un tumore, perché nonostante le dure terapie e gli strascichi che esse lasciano, non bisogna arrendersi mai, bisogna lottare e credere sempre in se stessi. Io la mia battaglia spero di averla vinta, mi auguro che anche i nostri militari vincano la loro. La loro non è però una battaglia ma una missione di pace, il loro compito infatti è quello di cooperare e affiancare il governo afghano al fine di riportare la sicurezza su tutto il territorio permettendo la ricostruzione e il miglioramento delle condizioni di vita di tutta la popolazione. L’Afghanistan per me rappresenta quindi la rinascita, e con il mio reportage vorrei raccontare la rinascita di una nazione martoriata da decenni di guerre”.

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Un team tutto al femminile, com’è stata l’accoglienza in quella che è sempre stata presentata come la roccaforte di un fondamentalismo estremo e radicale?

Samantha Viva, Katiuscia Laneri, Elisabetta Loi : “Partire da embedded, quindi al seguito dell’esercito, ha tra i suoi vantaggi proprio questo aspetto: c’è qualcuno che garantisce per te, che ti presenta come il giornalista, per cui in questo modo per loro ha poca importanza che tu sia uomo o donna. Anzi paradossalmente, in questo caso, è più vantaggioso essere donna, perché entri a contatto con un universo femminile che altrimenti ti sarebbe precluso. Ad esempio siamo riuscite a intervistare dottoresse o soldatesse proprio perché donne. Certo ti rendi conto delle difficoltà delle donne in un universo così prevalentemente maschile. Ma lì conta a quel punto più il ruolo che tu rivesti che non il fatto che tu sia donna o uomo. Molti uomini ti guardano con stupore o con interesse quasi morboso, è vero, soprattutto nei villaggi, ma se mostri rispetto nei loro confronti, anche con semplici accorgimenti, come coprirti il capo con un foulard o evitare di stringere la mano quando saluti, o ancora mantenendo un atteggiamento aperto e disponibile non diventi altro che un “tramite” tra loro e quello che vogliono raccontarti”.

Il territorio afgano è ancora molto legato, nella percezione che se ne ha all’esterno, al fattore Talebani. Quanto questo corrisponde a realtà? Quanto c’è di nuovo, non solo dal punto di vista politico e militare, ma anche sociale e culturale?

L’Afghanistan non è Bin LadenSamantha Viva, Katiuscia Laneri, Elisabetta Loi : “Il fattore Talebani è ancora predominante in molte zone del Paese, e francamente noi abbiamo visto davvero una piccola porzione di quell’immenso territorio, ed è una porzione di competenza militare italiana, questo significa che man mano sono le forze militari dell’esercito e della polizia afgana a prevalere lì, con l’aiuto delle forze alleate. Nonostante questo ci sono ancora cellule ribelli nascoste tra la popolazione, e soprattutto, più che a un generico problema di tipo terroristico e religioso, il problema vero è legato ai traffici illegali dell’oppio e alla sua coltivazione. La lotta alla criminalità spicciola è diventata la priorità in molte zone e le ritorsioni che questi gruppi criminali organizzati fanno sui poveri contadini che si rifiutano di coltivare l’oppio sono ancora di stampo talebano. E’ difficile poi far circolare idee nuove in molte zone perché vi sono regole dettate da leggi tribali, che regolano ancora nei villaggi i rapporti tra le persone”. Infatti i poveri contadini, se si rifiutano di coltivare l'oppio, vengono minacciati dai talebani. I traffici illegali dell'oppio prevalgono infatti ai problemi di tipo religioso”.

L’Afghanistan è un territorio molto complesso, la cui storia recente ha avuto un’innegabile influenza sulla società. Come ha vissuto la popolazione gli ultimi avvenimenti? Si è mostrata favorevole al cambiamento?

Samantha Viva, Katiuscia Laneri, Elisabetta Loi : “I segni di apertura culturale ci sono,ad esempio i movimenti per i diritti delle donne, che si fanno strada, soprattutto ad Herat. In generale la gente ha molta più consapevolezza dei propri diritti. Anche se i passi da fare sono ancora enormi e bisogna ricordarsi che tutti i progressi, che a noi sembrano minimi, vanno riportati al contesto di quel territorio. Gli afgani cominciano a capire che prima si coalizzano come popolo, prima diventano entità nazionale e prima potranno governare le loro terre da soli, senza l’aiuto di nessuno. E questo è per loro uno stimolo importante”. “Tanti cambiamenti ci sono stati nel corso degli anni, anche se a noi sembrano cambiamenti minimi, ma rapportati in quel contesto hanno un peso completamente differente. La popolazione è sicuramente più consapevole dei propri diritti. Vedere le donne afghane indossare una divisa e vederle giurare come prime sottufficiali dell'esercito afghano è segno di un grossissimo
cambiamento”.

Com’è percepita l’attività dei nostri militari dalla popolazione?

Samantha Viva, Katiuscia Laneri, Elisabetta Loi : I nostri militari sono sicuramente benvoluti, tanto hanno fatto per un popolo martoriato da anni di guerre. Hanno costruito strade, ponti, pozzi, scuole, cliniche. Però c'è tanta paura per la fine della missione, si teme che possano essere compromessi i progressi faticosamente raggiunti in questi ultimi anni”.“L’attività dei nostri militari in Afghanistan è, a differenza di altri contesti internazionali, in cui si parla di attività di ricostruzione, di totale “costruzione”. Dalle strade alle cliniche, alle scuole, lì c’è bisogno di tutto. Visto che il nostro ruolo lì è di supporto alla popolazione è normale che siamo molto benvoluti e in tanti ci hanno confessato di temere il momento in cui la missione Isaf finirà, o molto più probabilmente assumerà proporzioni diverse e minori, per paura che avvenga una sorta di implosione interna o che dall’esterno, gli interessi di Pakistan e Iran possano distruggere i progressi raggiunti”.

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Veniamo alla condizione femminile. Alla luce degli eventi degli ultimi anni, si può parlare di progressi per quanto riguarda il ruolo delle donne nella società?

Samantha Viva, Katiuscia Laneri, Elisabetta Loi: “I progressi ci sono stati, anche se a noi occidentali possono sembrare minimi. Ci sono donne che vanno all'università, donne che si arruolano nell'esercito, ma ci sono anche donne che continuano ad indossare il burqua e donne che non possono condividere degli spazi con gli uomini. Sicuramente ora le donne sono molto più consapevoli dei loro diritti rispetto al passato”.

Quanto dell’Afghanistan descritto nel libro, quello da voi vissuto, arriva a noi? Quanto è ancora frutto di pregiudizi e ignoranza?

Samantha Viva, Katiuscia Laneri, Elisabetta Loi : Speriamo che il nostro racconto fatto di emozioni, parole, e immagini dia un'idea dell'evoluzione dell'Afghanistan di questi ultimi 10 anni. Sicuramente il nostro è un racconto parziale e minimo rispetto all'ampiezza e alla complessità del delicato periodo storico che l'Afghanistan sta vivendo. Troppo spesso prevalgono i pregiudizi, l'ignoranza e i luoghi comuni sulle missioni dei nostri soldati all'estero, questo sia per la poca volontà di approfondire un argomento complesso sia per il poco interesse che i nostri media mostrano verso l'Afghanistan. Noi con umiltà abbiamo cercato di raccogliere le testimonianze sia delle persone in divisa che degli abitanti dei villaggi”.

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A chi si rivolge AFGHAN WEST voci dai villaggi e cosa sperate lasci al lettore?

Samantha Viva, Katiuscia Laneri, Elisabetta Loi: “Afghan West si rivolge a tutti coloro che si chiedono che fine abbia fatto l’Afghanistan oggi, a che punto siamo, chi sono e cosa vogliono gli afgani e perché stiamo ancora spendendo risorse umane e militari in questi posti. A chi si chiede a cosa servono le missioni all’estero e cosa fanno davvero i nostri militari. Soprattutto, da giornaliste, e quindi da persone curiose per natura, non ci siamo accontentate del presente ed abbiamo indagato sul futuro, su ciò che sarà l'Afghanistan dopo il 2014 e se il lavoro dei nostri uomini e delle nostre donne (militari e giornalisti), e la perdita di alcuni di loro, lasceranno un valido senso nella storia di questo Paese".

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