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Ottanta opere tra dipinti e disegni, selezionati tra la sua copiosa produzione, costituiscono il corpus di” Come un’antica sera” titolo della retrospettiva, tratto da un articolo scritto da un altro molfettese illustre: Enrico Panunzio nel 1971 proprio sull’artista Franco Poli.


La pittura del quotidiano in Franco PoliLa mostra è stata voluta per commemorare questo figlio della nostra terra a distanza di dieci anni dalla sua scomparsa. La splendida rassegna ha richiamato tantissima gente giunta anche dai paesi limitrofi presso il Museo Diocesano, una delle location che ospita questo imperdibile appuntamento artistico, tanto che gli organizzatori sono stati costretti a mettere a disposizione la sala sottostante,dove era possibile seguire l’evento tramite maxischermo.

L’esposizione, a cura di Gaetano Centrone, è stata ideata e promossa dall’Arciconfraternita di Santo Stefano, in collaborazione con il museo diocesano e con il patrocinio morale del Comune di Molfetta. Tre le sedi individuate dal curatore: la chiesetta della Morte che sta ospitando i Disegni, la Sala dei Templari i Dipinti degli anni Quaranta e Cinquanta, mentre al museo diocesano sarà possibile come per le altre location, fino al 29 ottobre, ammirare i Dipinti dagli anni Sessanta al 2003.

Nella serata inaugurale sono intervenuti: l’autorevole Philippe Daverio, noto critico d’arte, giornalista e conduttore televisivo, il curatore della mostra Gaetano Centrone, il priore della confraternita Giuseppe Saverio Poli, il direttore del museo diocesano don Michele Amorosini e la scrittrice Gianna Sallustio Amato. Ad introdurre la serata, il priore dell’Arciconfraternita che ha salutato e presentato i relatori. E’ toccato poi a don Michele Amorosini ribadire il ruolo culturale e di promozione del territorio sempre più importante che sta assumendo il Museo, grazie anche all’intraprendenza e alla preparazione della cooperativa FeArt,ente gestore.

Il museo si sta ponendo in rete e sta interagendo con altre realtà culturali, diventando un punto di riferimento in città. All’assessore alla cultura Betta Mongelli è toccato portare i saluti dell’amministrazione mettendo l’accento sull’importanza che l’Arciconfraternita di santo Stefano riveste per un molfettese, citando ricordi personali che l’hanno legata all’artista Franco Poli. Il dottor Poli poi, non volendo addentrarsi nella poetica pittorica, visti gli autorevoli relatori presenti in sala,ha illustrato i brillanti curriculum degli ospiti, raccontando che aveva conosciuto Daverio quando era Assessore alla cultura del comune di Milano.La pittura del quotidiano in Franco Poli

L’arciconfraternita di Santo Stefano è molto legata all’artista Poli che più volte ha raffigurato le processioni e suoi particolari in modo così realistico e poetico. Poli quindi cantore delle tradizioni molfettesi, ma anche della sua terra con quell’attenzione al quotidiano e ai suoi riti. Ha poi tracciato la figura dell’uomo schivo, soprattutto dopo la morte della moglie. Un pittore, Poli, che sussurra e non grida. Il critico Daverio invece ha elevato la mostra dal locale al globale, portando un punto di vista altro, al di fuori del territorio dando una interpretazione più ampia. Al maestro Poli hanno reso omaggio tre grandi artisti molfettesi contemporanei: Zaza, Grillo e Gadaleta con delle loro opere.

Di questa splendida mostra è stato realizzato anche un pregevole catalogo. Ha preso la parola poi Gaetano Centrone che ha illustrato il percorso espositivo. Il curatore della rassegna, ha infatti spiegato all’attentissimo pubblico che nei dipinti dei primi due decenni, esposti alla Sala dei Templari, incomincia il percorso, rigorosamente cronologico, a partire da un acquerello del 1937, raffigurante una foglia, prima opera rinvenuta e tramandata del maestro.

La pittura del quotidiano in Franco PoliHa poi messo in luce la pregevole fattura anche di una serie di autoritratti e ritratti, tra cui spiccano quelli degli amici artisti Tonino Nuovo e Salvatore Salvemini, nonché alcuni vasi di fiori che caratterizzano tutta la sua produzione. Nel museo diocesano invece è possibile ammirare gli olii dagli anni Sessanta fino al 2003. I motivi sono vari, da quelli più oscuri dei primi anni Sessanta, raffiguranti fedeli che assistono alle processioni in notturna, alle sue celebri nature morte che tra quel decennio e il successivo raggiungono piena maturità e originalità. Agli anni Ottanta risale la serie degli Abiti di Gilda, moglie e musa di una vita, prematuramente scomparsa.

Nella chiesetta della Morte sono invece esposti una decina di disegni, gustose preparazioni o intermezzi ai dipinti, raffiguranti figure umane, insetti, tetti di Molfetta. Centrone ha fatto un excursus umano e professionale del maestro Poli, raccontando dei suoi incontri, dei riferimenti artistici, della sua ispirazione. La parola poi è passata alla scrittrice Sallustio che ha descritto l’artista dal punto di vista umano avendolo ben conosciuto per aver scritto una biografia a lui dedicata. Ha riportato alla mente ricordi, incontri, emozioni, nostalgia di un tempo che fu.

L’ha paragonato a Gozzano per la sua poetica, per la sua avversione alla tecnologia; anche con i disegni riusciva ad esprimere le pulsioni dell’anima. L’arte quindi si è fusa con i ricordi familiari, con le sue frequentazioni, consegnando alla platea un ritratto inedita del maestro. Molto atteso era l’intervento dello storico dell’arte Daverio che si è detto veramente meravigliato di trovarsi d’avanti ad un pubblico così numeroso. Ha giustificato la sala così piena dando tre motivazioni:l’artista,lo storico, noto al pubblico televisivo e il luogo, il museo.

La pittura del quotidiano in Franco PoliLa location l’ha definita un aggregato di comunità e da qui è partita la sua indagine antropologica, veramente molto interessante che ha calamitato l’attenzione dei presenti. Secondo lui, infatti un artista scomparso dieci anni fa’, non poteva da solo attrarre così tanta gente. Ha poi esaminato abitudini e riti della società indagando sul fenomeno pittura, su come è cambiato il mondo della comunicazione, sul ruolo solitario del pittore,sul fatto che viviamo in un mondo dominato dalle immagini. Ha ribadito il valore della pittura, del linguaggio dei segni. L’arte serve a generare una identità possibile. Ha continuato poi dicendo che non tutti i popoli sono artisti, ha quindi fatto una disamina antropologica fra arte e provenienza geografica.

La pittura non è da tutti, ma solo dei popoli stanziali. Ha poi elogiato la cucina italiana e la moda, due eccellenze della nostra terra. Arte come testimonianza dell’esistere, dovere della testimonianza e laboratorio del pensiero. Philippe Daverio in serata aveva poi visitato le altre location della mostra rimanendo piacevolmente stupito dalla bellezza della nostra città, ma si è anche intrattenuto nelle sale del Museo ammirando i quadri e commentando le opere con i tanti suoi estimatori che lo hanno affiancato per tutto il percorso espositivo. Ricordiamo che a mostra sarà visitabile tutti i giorni, la mattina dalle 10.30 alle 12.30 e il pomeriggio dalle 17.30 alle 20.30.

Foto Cosmo Mario Andriani

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