Incontro con l’artista salentino Elia Funiati
“Salento, vuol dire luce, colori, vivacità, accoglienza, calore: nei miei dipinti, come nelle mie foto c’è tutto questo e tanto altro…”
In questi giorni, ho potuto apprezzare le opere del poliedrico artista salentino Elia Funiati, classe 1977, che sorprende per l’utilizzo di varie tecniche creative e per originalità nel segno, nei colori e nelle idee. Curiosamente, con una battuta possiamo dire che è un tecnico “prestato” all’arte, difatti, Elia Funiati non ha avuto un percorso prettamente artistico ma tecnico scientifico, esperienza, questa, che ha contribuito non poco anche nella sua formazione di artista. Nel tempo, scoperta l’arte, ha potuto esporre i suoi lavori in vari contesti, collaborando a vari progetti creativi, partecipando a concorsi e contribuendo a pubblicazioni culturali varie. In queste ore ed in questo contesto ho potuto contattarlo e fargli qualche domanda:
Elia, quando e come ha scoperto questa sua vena artistica e quanto ha contribuito nella sua formazione l’aspetto tecnico-scientifico?
L’arte mi ha appassionato sin da bambino: guardando un dipinto, un monumento, un paesaggio, c’era sempre qualcosa di speciale che rapiva la mia attenzione: mi divertivo allora ad immortalare questi momenti, con una piccola macchina fotografica, che mi fu regalata da mio zio e soprattutto con delle bozze su pezzi di carta; ma poi come per tutti i bambini c’era poco tempo per queste cose, anzi si pensava a giocare, a giocare a calcio soprattutto. Poi verso i dodici anni, purtroppo la mia vita è cambiata: gravi problemi di salute, che mi porto ancora appresso, hanno caratterizzato la mia adolescenza e, girando per gli ospedali di mezza Italia, è tornata prepotentemente la passione per il disegno, passando le giornate a disegnare; di lì a poco ho preso coscienza che per dare valore a ciò che facevo, non c’era cosa migliore della pittura. Iniziai a studiare chimica presso l’ITIS Majorana di Brindisi, sia perché era qualcosa che mi piaceva, sia perché in quegli anni si coltivava l’idea di studiare per qualcosa di concreto e quindi, pur innamorato dell’arte, scelsi una formazione tecnica scientifica. Non mi pento della scelta fatta, ma se potessi tornare indietro, sceglierei come percorso di studi qualcosa che mi piace, più che qualcosa di utile, perché come si dice “nella vita non si sa mai cosa possa accadere”, in effetti, per me, nel bene e nel male, è stato così. Poi alla fine dei conti, la mia formazione, mi ha aiutato tantissimo nell’approccio con l’arte: nello studio delle tecniche di lavoro, della prospettiva, della fotografia e tanto altro, ma soprattutto, nel capire che, la vera anima di ogni essere, è espressa da sentimenti, emozioni, umori, espressioni e non da qualcosa di puramente razionale. E se non hai avuto modo di confrontare questi due mondi è difficile da capire.
Il Salento, è un territorio ricco di cultura e varietà di stili, ne sente l’influenza, per il suo percorso creativo?
Assolutamente sì. Il Salento è “respirare”, è vita: per chi ci è nato, per chi ci abita o lo ha vissuto e poi si sente salentino nell’anima e nel cuore per sempre, figuriamoci per un artista: Salento, vuol dire luce, colori, vivacità, accoglienza, calore: nei miei dipinti, come nelle mie foto c’è tutto questo e tanto altro, c’è l’anima della gente ed i colori di un territorio, dove ti puoi spostare in lungo e largo e sentirti sempre a casa, dove si parla sempre lo stesso dialetto. Quando realizzo un dipinto, o scatto una foto, cerco di catturare tutto questo, ma mi viene facile, non c’è bisogno di nessuna forzatura, è una cosa naturale, intrinseca. Il Salento offre moltissimo e pian piano si sta prendendo coscienza di tutto ciò, ma ancora non gli viene data la giusta attenzione, il giusto peso, come imperdibile opportunità per il mondo dell’arte.
Cosa pensa dello stato attuale dell’arte in Italia e cosa può consigliare a dei giovani che hanno intenzione di intraprendere questo “cammino”?
In Italia si sta diffondendo, purtroppo, una cattiva abitudine, quella di dire “noi abbiamo il Colosseo, noi abbiamo il duomo di…” e potremmo citare migliaia di monumenti. È facile cullarsi su quello che già si ha, senza curarsi del loro futuro: come tutte le ricchezze, anche i monumenti, se non curati a dovere, prima o poi si estingueranno; in pratica ci comportiamo come degli spendaccioni, senza metterci la giusta cura. C’è molta passività da questo punto di vista; mi auguro che, chi voglia addentrarsi lungo questo “cammino”, mantenga le distanze da questo modo di fare, di innovarsi sia sul nuovo, sia sul patrimonio artistico esistente: innovarsi per me significa paragonare questa ricchezza, non al petrolio che, con i suoi pro e i suoi contro, è una ricchezza effimera e arriverà ad esaurirsi, ma ad una pianta perenne, che se accudita per bene darà miriadi di frutti.
Attualmente sta lavorando a qualche progetto?
La mia malattia ha avuto e sta avendo una grossa influenza sul mio modo di fare arte. Nel corso degli anni ho sempre affrontato le problematiche che si sono man mano presentate, adeguando il mio modo di lavorare, anche nel mondo extra – artistico: il lavoro bisogna inventarselo, non aspettare che qualcuno ti aiuti. Mi sono reso conto che mi era più facile lavorare in modo “contemporaneo”, allontanandomi per esempio dalla pittura diciamo “tradizionale”. Ho abbracciato così, il mondo dell’astrattismo, sia geometrico che informale, del sociale, che punge la gente e, per fortuna, ogni tanto la sveglia. Questo stile “moderno”, utilizzato in alcuni dipinti, è molto apprezzato, nel mondo del DESIGN, dell’arredamento moderno e dell’arte contemporanea in genere. Quindi adesso il mio progetto è questo, fermo restando il rispetto della mia regola ferrea e cioè “Tutto ciò che suscita emozione, merita di essere impresso. In che modo? Pittura, Fotografia, Scrittura, Musica, Teatro, la Mente… A noi la scelta…”.