Amazzonia: WWF, quattro richieste per il G7 di Biarritz

WWF ribadisce richiesta al premier Conte affinché Italia promuova risoluzione straordinaria per l’Amazzonia.

L’ Amazzonia continua a bruciare e la sua salvaguardia e tutela è fondamentale per l’equilibrio naturale del pianeta (vedi scheda che segue il comunicato). Per questo è fondamentale che la comunità internazionale assuma una posizione netta e chiara sulla necessità di proteggere un patrimonio che appartiene al Pianeta. Il WWF Italia  ha lanciato un appello al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte affinché l’Italia proponesse al G7 di Biarritz una mozione straordinaria nei confronti della situazione drammatica che vive il polmone del Pianeta. L’obiettivo è chiedere al governo brasiliano impegni concreti sulla difesa della Foresta amazzonica.

Il WWF Italia chiede ai Paesi del G7 di impegnarsi su 4 proposte per intervenire subito su una situazione che ha superato le dimensioni della tragedia ambientale:

  1. L’impegno per una task force internazionale dotata di uomini e mezzi adeguati per aiutare il governo brasiliano a spegnere gli incendi e che sia subito operativa;
  2. Che mettano a disposizione le proprie agenzie spaziali, non solo per rilevare l’esatta estensione degli incendi e i danni prodotti alla foresta;
  3. La richiesta al Brasile norme per introdurre il divieto di riutilizzare ai fini economici le aree devastate degli incendi;
  4. Che si attivino per una conferenza internazionale per l’Amazzonia con misure concrete di protezione.
APPROFONDIMENTO SULL’ AMAZZONIA

La comunità scientifica internazionale da decenni avverte il mondo della politica. La situazione relativa alla relazione tra sistemi naturali e sistemi sociali è profondamente deteriorata e necessita di un urgente e necessaria inversione di tendenza. Gli scienziati hanno infatti da tempo avviato numerose ricerche che si stanno producendo nel campo delle scienze del sistema Terra.

Lo stesso WWF ha pubblicato nel 2007 un importante rapporto realizzato da un esperto di fama internazionale Daniel Nepstad, senior scientist del Woods Hole Center statunitense. Si tratta  dell’“Amazon’s Vicious Cycles. Drought and Fire in the Greenhouse”

Agli inizi del 2008 un team di scienziati ben noti, ha pubblicato un primo importantissimo studio sui cosiddetti “Tipping points”. Stiamo parlando dei punti critici del sistema climatico terrestre (vedasi Lenton T.M.,  et al. , 2008 – Tipping elements in the Earth’s climate system – Proceedings National Academy of Sciences, 105, 6; 1786 – 1793).

 

La ricerca illustra alcuni degli elementi critici in diverse aree del nostro pianeta che potrebbero oltrepassare una soglia.

Il verificarsi di ulteriori perturbazioni potrebbe qualitativamente alterare lo stato o lo sviluppo dell’intero sistema provocando, a cascata, una ampia scala di impatto sui sistemi umani ed ecologici. Le attività umane hanno infatti la potenzialità di far transitare i sistemi naturali verso altri stati che potrebbero produrre effetti negativi per le società umane stesse.

Questi fenomeni sono stati descritti come “Tipping point” seguendo la nozione popolare che un piccolo cambiamento può provocare conseguenze ampie e di lungo termine.

Lo studio indica 15 aree o fenomeni sui quali le ricerche sin qui svolte indicano la possibilità di un passaggio critico nell’arco di periodi che vanno da uno a 10, 50, 300 o molti più anni. Il fatto che alcuni di questi tipping elements, sottoposti a un continuo cambiamento climatico antropogenico, possano raggiungere il loro punto critico tra pochi anni o entro un secolo.

 

In collegamento con la situazione dell’Amazzonia le 15 situazioni analizzate riguardano i seguenti settori:

la formazione del ghiaccio artico estivo, i ghiacciai della Groenlandia, i ghiacciai dell’Antartico occidentale, la circolazione termoalina dell’Atlantico. Il cosiddetto El Nino – Southern Oscillation, il monsone estivo indiano, il monsone occidentale Sahara/saheliano, la foresta tropicale amazzonica. La foresta boreale, l’Antarctic Bottom Water, la tundra, il permafrost, gli idrati di metano nel mare, la perdita di ossigeno negli oceani e l’ozono artico.

C’è una grande mole di prove empiriche che ci dicono che molti ecosistemi, dai laghi locali alle foreste fino alle barriere coralline, presentano dei possibili punti critici rispetto a come sono gestiti dall’intervento umano. Dopo essere rimasti per lungo tempo in una condizione di “equilibrio stabile”, questi ecosistemi possono passare bruscamente a un altro stato. La situazione della grande foresta amazzonica viene appunto considerata uno dei più significativi casi di possibile raggiungimento di un punto critico.

Sotto l’assalto combinato della deforestazione, degli incendi e del cambiamento climatico globale l’Amazzonia può bruscamente trasformarsi in savana. Il rischio è che rimanga bloccata in questa nuova condizione. In questo modo impedisce al sistema Terra e all’umanità di disporre delle sue straordinarie capacità di evapotraspirazione. Ciò dovuto all’equilibrio tra foresta e ciclo dell’acqua, e quindi degli effetti che tutto il sistema amazzonico ha sul clima globale.

 

Per mantenere uno stato di equilibrio, un ecosistema ha bisogno di feedback che rinforzino questo stato.

In una foresta pluviale, questo feedback è rappresentato dalla miscela di umidità e piogge che si genera spontaneamente grazie all’ampia presenza di alberi e della straordinaria copertura forestale. Ma quando in una foresta pluviale si aprono degli spazi perché vengono abbattuti gli alberi e l’atmosfera si scalda, il sistema gradualmente si secca perdendo la sua resilienza. Alla fine si arriva a un punto in cui il sistema può superare una soglia. I feedback cambiano di segno, e da un’umidità che si forma spontaneamente si passa a una condizione secca che si rinforza sempre di più. All’improvviso, l’aria calda si infiltra nella canopia, e fa evaporare l’umidità che prima era trattenuta dal sistema.

Piove meno, visto che dalle radici degli alberi sale meno acqua, il sistema diventa sempre più secco e rimane bloccato in una condizione di savana. In caso di acuirsi dei fenomeni, può persino condurre a una savana arida. A questo si aggiunge ovviamente l’enorme e incalcolabile danno della perdita della straordinaria ricchezza della vita presente nella foresta amazzonica. Una fonte di servizi ecosistemici che la foresta offre gratuitamente e quotidianamente ai delicati equilibri dinamici del nostro pianeta.

L’ambito di ricerche delle scienze del sistema Terra sui Tipping Points sta diventando sempre più ricco e approfondito.

 

Si ritiene plausibile il raggiungimento di un punto critico (Tipping Point) su scala planetaria.

Una raffinata capacità scientifica di registrare i primi segnali di allerta che preludono ad un passaggio di transizione critica su scala globale come sta già avvenendo a scala locale, per essere capaci di individuare i feedback che promuovono questa transizione. Per evitarlo è necessario agire sulle cause alla radice di come gli esseri umani stanno forzando i cambiamenti biologici planetari.

Pertanto è fondamentale agire per ridurre la popolazione mondiale, per ridurre il consumo pro capite delle risorse, per ridurre e poi azzerare l’utilizzo di combustibili fossili. Inoltre bisogna rafforzare l’efficienza energetica, incrementare l’efficienza della produzione e distribuzione del cibo. Rafforzare le azioni di gestione e conservazione della biodiversità e dei servizi degli ecosistemi, sia negli ambienti terrestri che marini. Occorre cercare di salvaguardare il più possibile le parti della superficie terrestre ancora non dominate dall’intervento umano.

 

Questi obiettivi dovrebbero essere al primo posto delle agende politiche internazionali.

Oggi sappiamo che per sostenere una popolazione di più di 7 miliardi e 600 milioni di abitanti, ormai il 75% della superficie delle terrestre è già stato convertito ad agricoltura, pascolo, infrastrutture, aree urbane. Profonde modificazioni di tanti ecosistemi fondamentali mentre il 66% delle aree oceaniche è stato modificato significativamente dall’intervento umano. Ciò viene indicato dal noto “Rapporto IPBES”. La progressiva modifica e ininterrotta modifica degli ecosistemi della terra e dei mari viene ritenuto dagli studiosi un profondo impatto.

Purtroppo questo, ormai chiaro messaggio, non sembra essere utilizzato dal mondo politico per far prendere decisioni serie e impegnative nelle sedi negoziali internazionali.

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