Taylor Swift, il film della vita

“The Tortured Poets Department” è un diario segreto di racconti che trasformano i traumi in esperienze collettive, usando una formula musicale consolidata. L’artista dei record si esibirà anche in Italia, il 13 e il 14 luglio allo stadio San Siro di Milano, per due concerti da tempo sold-out.


In tanti hanno già scritto dell’incredibile rilevanza di Taylor Swift nella nostra società, di quanto una sua uscita discografica, un suo tour o una sua uscita pubblica riguardo a un candidato alla presidenza degli Stati Uniti possano spostare numeri importanti o economie di interi paesi.
E’ anche difficile fare paragoni con epoche passate o paralleli con l’Italia, perchè semplicemente la sua è una figura unica e anomala.

Taylor Swift fa pop, ma non è una pop star come spesso la si intende oggi, è una cantautrice intima che mette in primo piano sè stessa; i suoi racconti affrontano i sentimenti nelle sue sfaccettature, usando musicalmente strutture simili, come fossero piccole puntate di un romanzo o di un film.

La barriera della lingua è la prima che non permette a molti, nel nostro paese, di capire l’identità di un’artista che negli anni è riuscita a portarsi dietro il pubblico tradizionale del country e a farlo approdare ad un pop che diventa strumento per le sue istanze, i suoi sfoghi, le sue confessioni.

Alla classica domanda “ma come fa ad avere tanto successo” raramente segue un’analisi approfondita. Progressista, femminista, ma senza le esagerazioni del mondo “woke”, Taylor ha trovato nelle giovani generazioni (soprattutto nelle ragazze) un seguito per sapere trasformare i suoi traumi personali in esperienza collettiva.

Nella canzone “The Tortured Poets Department” Taylor dice “Io e te siamo dei poeti, ma tu non sei Dylan Thomas e io non sono Patti Smith”, in un album in cui canta dei “cattivi ragazzi” che ha incontrato, di quanto ha sofferto ma anche di quanto ha sbagliato, con una robusta dose di autoironia, faccia tosta e linguaggio esplicito.

A collaborare in fase di scrittura ci sono di nuovo Jack Antonoff, già coautore di Lana Del Rey, e Aaron Dessner, fondatore dei The National, in un lavoro essenziale come produzione e torrenziale per il contenuto (15 tracce nella versione normale e addirittura 31 nella versione “The Anthology”).

Tra i brani a spiccare ci sono l’elettro pop lunare e malinconico “Fortnight” (realizzata insieme a Post Malone) , “Florida!!!” realizzata insieme a Florence Welch, con un ritornello epico e trascinante, la tormentata “Who’s Afraid of Little Old Me?*. la sarcastica “The Smallest Man Who Ever Lived” il cui titolo parla da solo.

Gli sbadigli sono forse più del dovuto per chi scrive, forse la scaletta poteva essere più stringata ma Taylor, forte del suo enorme seguito, non si è risparmiata nello sfogare la sua urgenza creativa passando implacabilmente alla cassa dopo avere seminato in passato con album importanti come il superpop “1989” e i più alternativi, malinconici “Folklore”ed “Evermore”

Con numeri assurdi da monopolio totale nelle classifiche e “The Eras Tour”, il docufilm che ha spopolato nelle sale e sulla piattaforma Disney+, Taylor Swift continua a raccontarsi, senza freni, con la consapevolezza che il suo “film della vita” nasca dalla sostanza, al netto di trucchi ed “effetti speciali”.

Informazioni:
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Fabio Alberti

 

 

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