Scipione Gonzaga, vita burrascosa e lieta di un aspirante cardinale del ‘500″

Nel libro di Luca Sarzi Amadè edito Odoya, il frutto di decenni di lavoro, nell’avventurosa vicenda di un cadetto che, dietro le quinte, contribuì all’affermazione della nostra lingua, e della nostra identità nazionale.


Poeta o spadaccino? Mecenate o diplomatico? Uomo di chiesa o d’armi? Ecclesiastico o guerriero? In realtà Scipione Gonzaga fu ben di più: ebbe un ruolo di primo piano nel fermento che in quel secolo portò all’affermazione di quella che oggi è la lingua italiana (e, possiamo aggiungere, della nostra identità nazionale). Il suo ruolo di mecenate permise ad alcuni tra i migliori talenti di incontrarsi e di affinare le proprie abilità; tra questi Torquato Tasso e Battista Guarini. Egli infatti coordinò la revisione de “La Gerusalemme Liberata“, contribuendo in modo significativo alla scelta dei vocaboli, e determinando così, per l’immediata, enorme diffusione dell’opera, il lessico che noi usiamo ancora oggi.

 

La narrazione ripercorre la perdita del padre, le insidie del tutore (un parente -il celebre duca di Sabbioneta!- che, approfittando del ruolo, intendeva spogliarlo dell’eredità), gli studi compiuti lontano dalla famiglia (ma con tutte le preoccupazioni del caso) a Padova. Infine la corsa al cardinalato, trascorsa tra gli ozi letterari, le battaglie giudiziarie, e gli sgambetti di parenti e falsi amici. Insomma il libro vuole aprire, attraverso le vicende del Protagonista, uno spaccato dell’Italia di quei tempi, un’Italia straordinariamente fertile di idee, ma traversata dal crescente incubo dell’Inquisizione, e minacciata dalla prorompente espansione dell’impero islamico (è qui che si colloca non a caso il successo del Tasso, i cui meriti vanno condivisi col Gonzaga), un’Italia ricca di speranze, e dove prendeva corpo, in una fase ancora embrionale, l’idea di un’unica nazione, di un mondo dove tutti pagassero i tributi, dove fosse posta in discussione persino la proprietà privata.

 

E’ l’Italia di un altro grande Gonzaga, san Luigi, la cui breve esistenza si intreccia con quella del cugino Scipione, con cui condivide alcuni episodi davvero focali della sua esistenza (il libro, ricordiamo, non è affatto un romanzo). Nel corso della lettura emergono però anche i rapporti del mecenate cinquecentesco con altre grandi figure dell’epoca, come Pierluigi da Palestrina, il più celebre compositore dell’epoca, e Federico Borromeo, il fondatore della Biblioteca Ambrosiana (che è seconda al mondo solo alla Vaticana), o come i santi  Carlo Borromeo e Filippo Neri. Si è inoltre voluto rendere giustizia a molti nomi oggi dimenticati che ai loro tempi conobbero il dovuto rispetto.

 

Un’indubbia riscoperta è il segretario del Protagonista, Giacomo Pergamini, l’artefice del più evoluto vocabolario della lingua italiana che, privo di validi precedenti, nell’arco del secolo successivo, il XVII, tenne testa al celebre, ma più recente, Vocabolario della Crusca. Si tratta di un aspetto della nostra storia linguistica generalmente sconosciuto anche agli addetti ai lavori.

 

Ma il Gonzaga va ricordato anche per i suoi contributi alla formazione di grandi collezioni d’arte come quella dei duchi di Mantova, o quella degli Uffizi a Firenze. Inoltre egli fu grande esperto di cavalli, di musica, compositore egli stesso, incaricato dal più potente rappresentante della sua dinastia (di colui cioè che portò il ducato virgiliano alla massima prosperità), Guglielmo Gonzaga, di ingaggiare i migliori musicisti del suo tempo.

Il libro ha una storia curiosa: fu scritto oltre vent’anni fa, nell’arco di un triennio, su commissione di un ente pubblico, che poi, come spesso accade in Italia, non ne fece nulla; in questo lasso di tempo è stato così riveduto più volte dall’autore, ed ora esce per la prima volta nelle librerie.

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