La Scienza tradita!
Che cosa vuol dire, esattamente, “efficacia scientifica”?
Quel che sembra sfuggire alla comunità scientifica e ad alcune Associazioni che tutelano, o avrebbero dovuto tutelare le aspettative e gli interessi delle persone con SM, è che non da ieri, ma da almeno quattro secoli la scienza funziona in altra maniera. Quelle Associazioni si sono cimentate a boicottare la sperimentazione BRAVE DREAMS. Da quando qualcuno ha compreso che la verità scientifica non si impone attraverso la forza retorica delle argomentazioni. Bensì attraverso quella pratica delle dimostrazioni, sottraendo in questo modo la scienza dalla giurisdizione dei tribunali ecclesiastici.
E’ attraverso la pubblicità dei risultati, che possono e devono essere sottoposti a verifica da chiunque abbia voglia di cimentarsi nell’impresa. E noi invece, lo abbiamo ripetuto sino alla nausea, e continueremo a ripeterlo ancora, che i malati pagano nella loro vita con il tempo che passa inutilmente e la malattia che avanza, la necessità in buona ed in cattiva fede dei cattedratici di parlarsi in latinorum. Molti uomini di scienza sono indubbiamente antipatici. La loro cultura, il loro sforzo di ricerca e la fondatezza delle loro argomentazioni distruggono ogni nostra dolce e folle fantasia consolatoria.
Non ci ha mosso, però, la tentazione di alimentare tale folle fantasia consolatoria nel costituire e promuovere l’Associazione.
Piuttosto la consapevolezza che anche nella scienza, come ben descriveva Francesco Alberoni in un suo editoriale del settembre 2008, sono i centri di potere accademico internazionali che controllano i finanziamenti e le pubblicazioni. Impongono le proprie proposte e le proprie idee emarginando gli scomodi, i devianti, quelli fuori dal coro. La scienza non è affatto obbiettiva e imparziale come il grande pubblico immagina. Ancor oggi le scoperte più originali vengono fatte da individui che devono lottare contro il conformismo accademico.
Per tener viva la diversità culturale e conservare accesa la creatività bisogna che ciascuno partecipi e competa nel sistema di comunicazione globale. Nello stesso tempo però ogni nazione, ogni popolo, ogni città deve conservare le sue radici, la sua lingua, la sua tradizione e farle fiorire. Non dobbiamo aver paura di essere diversi, di rifiutare il tipo di arte, di cinema, di libri, di spettacoli televisivi ammirati da tutti. Dobbiamo imparare a giudicare e a scegliere con la nostra testa, e sforzarci di realizzare solo cose che consideriamo veramente belle e di valore. Certo, agire così richiede uno sforzo individuale molto più grande, ma è l’unico modo per tenerci fuori dal gregge e poter dare anche noi un contributo utile.
Il ‘caso Zamboni’ è uno di quelli in cui la ricerca e i ricercatori promettono ma non mantengono?
Forse sì, forse no. Non sta ovviamente a chi scrive mettere un bollino di validità o meno su una teoria, ma è più probabile che al momento ci si trovi davanti a un caso, uno dei pochi visibili a occhio nudo e interessante per le implicazioni che comporta, di controversia scientifica.
Paolo Zamboni non è Luigi Di Bella, né Davide Vannoni. Le sue affermazioni, la sua teoria e i suoi studi, da oggi, sono stati messi a disposizione della comunità scientifica per essere valutati, affinati, criticati, approvati o smentiti. Qui siamo davanti a una spaccatura: da un lato chi crede in una teoria e pubblica studi al riguardo, dall’altro chi pensa sia priva di fondamento o porta argomenti (e dati e studi) contrari ad essa. Permettendoci una iper-semplificazione, siamo davanti a uno scontro tra flebologi e neurologi, tra campi e competenze diverse. Il contorno è fatto di lotte, di opinioni, di tanta comunicazione (che merita un capitolo a parte), polemiche e, ovviamente, di soldi in ballo. Qui esiste una discussione all’interno della comunità scientifica che prende direzioni diverse. Al momento, per noi che guardiamo dall’esterno, sono tutte valide anche se qualcuna, il tempo ci dirà quale, è sicuramente sbagliata.