Il settimo sigillo (I. Bergman Svezia)
Una continua interrogazione spesso senza risposta sull’esistenza umana.
Il settimo sigillo (1957), premio speciale della giuria a Cannes, da molti considerato il suo capolavoro tra i circa 55 film da lui diretti e opera di eccezionale vigore espressivo, giocata sul simbolismo dichiarato della sfida a scacchi che oppone un cavaliere da ritorno dalle crociate alla Morte in persona. Il suo pessimismo apocalittico tocca qui vertici di disperazione e nichilismo di rara bellezza ed intensità.
Inspirato a “Pittura su legno”, atto unico dello stesso Bergman, fu girato a basso costo in 35 giorni quasi interamente in studio, il regista individua nell’arte l’unico sporadico e precario sollievo, concesso all’uomo per sfuggire ai fantasmi di morte che incessantemente invadono e popolano la vita. Dedicati ad una umanità in crisi d’identità, oppressa da una società insensibile in cui regnano ipocrisia ed egoismo, i suoi film si susseguono lungo un sentiero demarcato dal pessimismo al lirismo.
L’insieme della sua opera cinematografica appare come una continua interrogazione spesso senza risposta sull’esistenza umana, il male di vivere, la presenza o l’assenza di Dio. L’angoscia di non comunicare, l’ambiguità e la duplicità della natura umana, la solitudine senza prospettiva in un mondo che è finzione o silenzio o vergogna, sono gli elementi costanti di ogni suo film e sostanziano il dibattito inarrestabile.
Profondamente influenzato dal pensiero di Kierkegaard, dall’esistenzialismo e da Freud, Bergman pone l’accento non tanto sulla società o sulla storia, quanto all’individuo. E tuttavia l’artista non è cupo o inaccessibile; prevale anzi nel suo linguaggio il bisogno tutto teatrale di far spettacolo delle proprie contraddizioni e ansietà, scandagliando attraverso la cinepresa, ogni recesso dell’anima e ogni segreto del volto.