Gli Amarello salutano Sanremo 2024…ad maiora!

Sanremo, quella mostruosa macchina da guerra che tiene in scacco una città intera per una settimana. Sanremo, quei cinque giorni di carnevale della Tv. Quante definizioni si possono dare alla kermesse e quanto vociare intorno a lei.


Finalmente, però, cala il sipario anche su questa lunghissima settantaquattresima edizione. Amadeus rimane fermamente convinto di voler abdicare, basta così dice. Ed effettivamente dopo cinque anni che vuoi fare ancora? Certo, chi verrà dopo di lui avrà un bel da fare, anche perché, diciamoci la verità, che cosa ci si può inventare ancora? Di cose belle ne abbiamo viste e il successo è arrivato, anche se, obiettivamente, in un calderone così eterogeneo per forza non poteva andare male.

Cosa ci rimarrà di questo Sanremo 2024? Sicuramente la bravura (per una volta cinque scelte azzeccate) dei co-conduttori. Se su Fiorello e Lorella Cuccarini si poteva mettere la mano sul fuoco, le vere scoperte sono state Marco Mengoni, Giorgia e Teresa Mannino. E vi dirò, questo trittico per l’anno prossimo non sarebbe male.

Buono anche il ritmo dettato dai pochi e brevi spazzi di spettacolo, che devono esserci, altrimenti passiamo direttamente alla radio. Ricordiamoci che è pur sempre televisione. Quest’anno però, finalmente, si è capito che si può fare tutto, ma accorciando i tempi, in alcuni casi (va ammesso) un po’ troppo, come con la povera Brignone. Gli ascolti hanno premiato Amadeus, una media di quasi 11,5 milioni di spettatori e il 65,44% di share sulle cinque sere non è mai stato registrato prima. I numeri record della finale ci restituiscono un Sanremo, indubbiamente, seguito e apprezzato. Amadeus si è preso la sua rivincita sulla vita e sulle scelte sbagliate di ormai tanto tempo fa. Il suo successore raccoglierà un’eredità pesante e difficile da gestire.

Veniamo però alle dolenti note, perché non può essere tutto perfetto. Trenta cantanti sono troppi, ripetiamolo insieme, sono troppi! Se nelle serate in cui se ne esibivano la metà si è sopravvissuti tranquillamente, nelle altre tre il disagio era lampante.

Al di là dell’uscita sul palco all’una e mezza di notte, diventa tutto esagerato, puoi dare ritmo alla serata quanto vuoi, ma sarà sempre too much. Come sproporzionato e pesante sta iniziando ad essere il FantaSanremo, che rende tutto finto. Quel cantante avrà abbracciato Amadeus perché voleva o per fare punti? E quest’altro i fiori li voleva dare davvero al direttore d’orchestra? Insomma, tutto diventa forzato e privo di spontaneità.

Nonostante ciò, il grande successo di ascolti di questa edizione è, innegabilmente, frutto di un lavoro certosino, di un progetto iniziato nel 2020. Non è filato tutto liscio, John Travolta è stato il boccone amaro che ricorderemo. Sì, si poteva e doveva gestire meglio, soprattutto lo sneakers gate, ma diciamoci la verità…Dear John due risate te le potevi fare pure tu e stare al gioco con il ballo del qua qua, dato che pare fossi stato ben avvisato di cosa saresti andato a fare. A volte non prendersi troppo sul serio ripaga, fattelo spiegare da Russell Crowe.

Di cosa non si è sentito la mancanza? Dei monologhi. Quella cosa tanto bella all’inizio, quando furono introdotti, ma che poi, a lungo andare, sono diventati un pedaggio da pagare per salire su quel palco, una tappa obbligata anche se non c’era nulla da dire.

Di cosa si è parlato troppo poco? Di Giovanni Allevi, del suo racconto, del suo essere. Passato in sordina perché era più importante occuparsi in modo viscerale delle scarpe o dell’uso del napoletano nel testo di una canzone. Le priorità della vita insomma. È proprio vero, le cose belle non sono per tutti.

D’ogni modo, Amadeus ha vinto, lo spettacolo lo abbiamo avuto, Sanremo è finito, andate in pace.

Enrica Leone

 

 

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