Dati macroeconomici positivi spingono Usa, Europa e Cina

La maggior parte dei dati macro continua a puntare nella direzione giusta e ciò ha consentito un inizio d’anno molto positivo sia per le azioni sia per le obbligazioni. A cura di Alvaro Sanmartin, Chief Economist, Amchor.


Negli Stati Uniti la recessione appare lontana e, allo stesso tempo, si registrano chiari segnali di moderazione dei prezzi e dei salari. Nell’ultimo trimestre del 2022 l’inflazione core è cresciuta a un tasso annualizzato inferiore al 3%, mentre l’indice del costo del lavoro ha mostrato nello stesso periodo una crescita annualizzata del 4%, rispetto al 5,8% della primavera dello scorso anno.

Nell’Eurozona, con un’attività economica che mostra addirittura segnali di rimbalzo, anche i dati sull’inflazione di gennaio hanno sorpreso. Per il resto, sembra confermarsi il forte rimbalzo economico della Cina così come la buona performance in generale dei paesi del Sudest asiatico. Al di là dei rischi geopolitici, cosa dovremo tenere d’occhio nei prossimi mesi? Nel caso dell’economia statunitense, a differenza di coloro che si aspettano una recessione a breve termine, siamo quasi più preoccupati del contrario.

In effetti, non è affatto da escludere che, se le condizioni finanziarie continuano ad allentarsi, questo potrebbe rafforzare eccessivamente la domanda aggregata cosa che, a sua volta, potrebbe tradursi in nuove pressioni al rialzo su prezzi e salari, costringendo la Fed a tornare a una posizione falco.

Nell’Eurozona, con una politica fiscale ancora molto espansiva, dovremo essere molto attenti all’evoluzione dei salari. Nello specifico, se questi dovessero crescere, complessivamente, ben oltre il 5% nell’area (non è il nostro scenario di base, ma non è nemmeno impossibile), riteniamo che l’inflazione core europea non scenderebbe e questo costringerebbe la Bce ad alzare i tassi al di sopra di quanto scontato. Per il resto, soprattutto nel caso della Cina, quello su cui presteremo maggiore attenzione sono le possibili situazioni di attrito con gli USA.

Le aspettative di inflazione a medio termine per i consumatori e le imprese continuano ad essere ragionevolmente ancorate e, nel caso di quelle a breve termine (che sono aumentate in modo più significativo), tendono a ridursi nell’ultimo periodo.

Allo stesso tempo, i livelli molto bassi di licenziamenti e il tasso di disoccupazione ai minimi dal 1969 non sembrano affatto compatibili con una recessione imminente, in un contesto in cui il tasso di partecipazione sembra avere un certo margine di recupero (se ciò fosse confermato, a parità di altre condizioni, l’economia statunitense potrebbe essere maggiormente in grado di soddisfare la crescita della domanda aggregata senza generare eccessive tensioni sul fronte dei prezzi).

Allo stesso tempo, non bisogna dimenticare che questa evoluzione positiva dell’economia americana è principalmente il risultato di una Fed che ha saputo condurre una politica monetaria sufficientemente restrittiva da contenere la domanda aggregata e quindi moderare le pressioni inflazionistiche in modo “ordinato”. Il rischio che ci preoccupa di più a breve termine non è l’ingresso degli Stati Uniti in una fase recessiva, ma un allentamento delle condizioni finanziarie che potrebbe dare rinnovata forza per aggregare la domanda e rilanciare queste tensioni inflazionistiche.

In questo senso la stabilità che il settore immobiliare sta mostrando nelle ultime settimane potrebbe essere un segno che i tassi di interesse non hanno ancora raggiunto il loro livello e potrebbero non avere molto margine di discesa senza generare un rimbalzo economico che potrebbe essere inappropriato. Nell’Eurozona, i dati sull’attività economica continuano a smentire chi, nel mercato, ritiene imminente una recessione.

Allo stesso tempo, mentre l’inflazione core continua a salire, i prezzi potrebbero iniziare a diminuire: l’inflazione complessiva sta diminuendo rapidamente e anche le aspettative sui prezzi al consumo e per le imprese si sono moderate nell’ultimo periodo.

I rischi per l’Eurozona? Quello che ci preoccupa di più è il mix tra un output gap positivo, una politica fiscale molto espansiva e un processo di accelerazione salariale che è chiaramente in atto, il cui picco non sappiamo ancora se potrebbe rendere persistente l’inflazione core e costringere la Bce a far aumentare i tassi significativamente al di sopra di quanto già scontato (se ciò si verificasse, i rischi di recessione in Europa dalla seconda metà dell’anno aumenterebbero in modo significativo e non si potrebbero escludere scenari di stress del debito periferico).

Infine, sembra sempre più chiaro che la Cina sarà protagonista di un rimbalzo molto forte e che i paesi del sud-est asiatico abbiano prospettive di crescita molto favorevoli per questo 2023, godendo di un massimo grado di stabilità macroeconomica (inferiore livello di inflazione rispetto al mondo sviluppato, livelli di deficit pubblico molto controllati, buona situazione in termini di saldo esterno e riserve di cambio).

View di mercato

Obbligazioni governative: riteniamo che le curve negli Stati Uniti e in Europa siano prezzate ma, allo stesso tempo, continuiamo a privilegiare le duration brevi perché vediamo più rischi di rialzo che di ribasso per i tassi di interesse (in particolare, eviteremmo la parte lunga delle curve perché potrebbe essere influenzata da un’eventuale revisione al rialzo delle stime dei tassi neutrali da parte delle banche centrali). Crediamo invece che il Giappone sarà costretto ad allentare nuovamente la politica di controllo della curva nei prossimi mesi, soprattutto se i salari cominceranno a crescere oltre il 3% a partire dalla primavera, cosa sempre più probabile.

Credito: continuiamo a preferire le obbligazioni societarie a breve scadenza, ma vista la contrazione degli spread, vediamo sempre più motivi per combinare questo asset con esposizioni ai titoli di Stato dei mercati emergenti in valuta locale ben selezionate.

Azionario: continuiamo a preferire le azioni europee e asiatiche a quelle americane, in quanto vediamo in queste ultime margini molto ridotti. Allo stesso tempo, la resistenza mostrata dall’attività economica in Europa e negli Stati Uniti fa pensare che i tassi di interesse rimarranno alti più a lungo di quanto il mercato stia scontando. In questo senso, non saremmo propensi ad avere una ponderazione eccessiva nella crescita (anche se forse si potrebbe valutare una certa esposizione al segmento delle società più piccole negli Stati Uniti e in Europa, che offrirebbe valutazioni interessanti in termini relativi e potrebbe offrire buone performance nel nostro scenario di atterraggio morbido).

Valute: il dollaro intorno a 1,10 (o meglio ancora 1,12, se ci arriverà) sarebbe interessante come valuta a copertura per gli investitori in euro. In caso contrario, e se il nostro scenario di atterraggio morbido negli Stati Uniti dovesse essere confermato, preferiamo le valute dei paesi emergenti con una buona governance.

Strategie di copertura: oltre alla liquidità, ora pagata molto meglio, puntiamo su strategie di copertura che non dipendono dalla duration e che possono fare bene in contesti di volatilità del mercato e inflazione persistente.

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