In Prima Nazionale una storia familiare attraverso gli occhi di una ragazza.
Debutta mercoledì 12 ottobre Tropicana di Irene Lamponi con la regia di Andrea Collavino. Lo spettacolo è una produzione del Teatro della Tosse e resterà in scena fino al 23 ottobre. Tropicana è una commedia. Da una parte gli adulti, esilaranti nella loro immaturità, dall'altra una ragazza che sogna il proprio futuro sconfinato e vitale. Il testo di “Tropicana” nasce all’interno di “CRISI”, laboratorio di drammaturgia permanente condotto da Fausto Paravidino. Un progetto di formazione fortemente voluto dal Teatro Valle Occupato di Roma, che ha permesso di immaginare nuovi modelli creativi, condividendo il processo di lavoro tra attori, autori, registi e spettatori.
Natale. Una casa. Un padre che se n’è andato. E poi una madre bambina, una vicina di casa sempre in ciabatte e Nina, una figlia che deve “fare l'adulta” in una casa che diventa sempre più nido-prigione. Tre solitudini che si sono legate in maniera indissolubile e che si avvitano continuamente sulle stesse discussioni, per non dover affrontare la vita fuori dalle rassicuranti mura domestiche. In sottofondo la televisione, le televendite, il Papa e una canzone: “Tropicana”. Tutto fa presagire che il vulcano della canzone esploderà e la fuga pare l'unica soluzione. Le cose sembrano cambiare quando sulla scena compare Leo, il fidanzato di Nina, che scombussola la routine delle donne. Il ragazzo è il possibile strumento di liberazione dall’opprimente vita familiare, ma non sarà facile per Nina tagliare i legami con la madre. Il testo ci propone un’altra possibilità, a dire il vero più sorprendente: la cura sta dentro, lì dentro la casa, dentro i rapporti.
Tropicana è una commedia senza retorica che parla di tutti noi, che riflette sugli aspetti più intimi dei legami familiari, sulle difficoltà dei rapporti tra genitori e figli e sui reciproci egoismi. Un testo di antitesi, che contrappone figli e genitori, positività e cinismo. Andrea Collavino dirige i quattro attori che interpretano un testo dal sapore cinematografico, in una scena allestita in maniera surreale, priva di riferimenti alla casa dove si svolge l’azione. Elena Callegari è Lucia, la madre incapace di vedere la realtà che alla fine riuscirà ad accettare, Cristina Cavalli interpreta Meda, la caustica vicina di casa che nasconde una fragilità dietro alla solida corazza di cinismo, Irene Lamponi è Nina, giovane testimone delle dinamiche familiari alla disperata ricerca di un’evasione liberatoria e Marco Rizzo è il fidanzato Leo, che con il suo arrivo incrina l’apparente equilibrio delle tre donne. E’ un testo che contiene un messaggio di positività molto forte. Tropicana in fondo ci racconta che nelle disavventure non è necessario trovare una soluzione. Le scene sono firmate da Ruben Esposito e i costumi da Daniela De Blasio della sartoria del Teatro della Tosse.
“A volte le persone diventano cattive, soprattutto quelle che ci amano di più”. I personaggi di Tropicana si fanno del male a vicenda perché non capiscono cos'è che li fa soffrire, ma fanno di tutto per risolvere i loro problemi, perché vogliono vivere anche se non lo sanno. Ci sono testi teatrali che si leggono e si amano, così, a prima vista, senza bisogno di spiegare più di tanto perché. È così che mi è accaduto leggendo Tropicana. E quando Irene mi ha chiesto di curarne la regia non ho avuto esitazioni a rispondere sì. La materia "rapporti familiari" riguarda tutti, ma ciò che trovo singolare nel testo di Irene Lamponi è la capacità di rendere comicamente i momenti tragici, di dare universalità alla vita che si svolge tra le pareti domestiche. Davanti a questi personaggi ci chiediamo continuamente perché. Perché queste persone stanno insieme? Perché Nina non se ne va? Perché Leo resiste? Perché ciò che fa male fa anche bene? E l'elenco si allunga col procedere della vicenda. È ciò che il buon teatro deve fare secondo me: rendere naturale il porsi domande scomode, e poi vedere un riflesso di sé stessi in tutti i personaggi rappresentati. Il più grande male dell'anima credo sia il senso di colpa e ho la sensazione che questo testo costringa lo spettatore a liberarsene, almeno per il tempo dello spettacolo. Gli offre, cioè, un piccolo spostamento che gli permette di guardare la propria esistenza in maniera più indulgente, e credo che sia un'ottima cosa. Andrea Collavino
Informazioni
http://www.teatrodellatosse.it
Foto di Donato Aquaro