Cannes 2019: un’edizione da “Parasite”

La Palma d’oro nella 72esima edizione della kermesse più famosa del mondo è andata al film coreano diretto da Bong Joon – ho.


Neanche stavolta Pedro Almodovar è riuscito a portare a casa l’ambìto riconoscimento, tuttavia la sua splendida pellicola semiautobiografica, “DolorYGloria” ha portato a casa il Premio come miglior attore, andato allo straordinario e malinconico (nel film) Antonio Banderas, perfetto nel portare in scena la sua vita, tra realtà e finzione.

 

Come miglior attrice è stata riconosciuta Emily Beecham, per la pellicola “Little Joe” di Jessica Hausner. “Parasite”, è stato definito una commedia senza pagliacci e una tragedia senza cattivi, una sorta di “Brutti, sporchi e cattivi” sudcoreano diretto dal regista di “Snowpiercer”. “Atlantique” di Mati Diop ha conquistato il Grand Prix, mentre i fratelli Jean Pierre e Luc Dardenne hanno vinto il premio per la miglior regia con “Young Ahmed”. Il Premio della Giuria è andato ex aequo a “Les Miserables” di Ladj Ly,  e “Bacurau” di Kleber Mendonca Filho e Juliano Dornelles.

 

Uno dei favoriti ai pronostici, “Portrait of a Lady on Fire” di Celine Sciamma, si è dovuto accontentare del premio per la migliore sceneggiatura. La menzione speciale invece è andata a “It must be heaven” del palestinese Elia Suleiman. La Camera d’oro come migliore opera prima è andata a “Nuestras Madres” di Cesar Diaz, dalla Semaine de la Critique. L’Italia è rientrata a mani vuote, nonostante l’entusiasmo del pubblico e della critica (e i 13 minuti di applausi) per “Il traditore” di Marco Bellocchio, con un camaleontico Pierfrancesco Favino, calato nei panni (scomodi) del pentito Tommaso Buscetta.

 

Il glamour hollywoodiano è ritornato sulla Croisette con “C’era una volta…a Hollywood” di Quentin Tarantino, che ha visto sfilare sul red carpet lo stesso regista insieme a Leonardo Di Caprio, Brad Pitt e Margot Robbie. Il film racconta di un attore di serie tv nel 1969, Rick Dalton (Di Caprio) che insieme al suo inseparabile amico e controfigura Cliff Booth (Pitt) cercano di sfondare nella Hollywood di quel tempo e come vicina di casa si ritrovano Sharon Tate (Robbie).

 

Sullo sfondo vi è il massacro di Bel Air, avvenuto nella notte tra l’8 e il 9 agosto, ma dalle prime reazioni  di critica e pubblico, e malgrado le richieste dello stesso Tarantino di non rilasciare spoiler, è trapelato il dettaglio di qualche revisionismo cinematografico, un po’ come era avvenuto con uno dei precedenti lavori del cineasta, “Bastardi senza gloria”.

 

A 25 anni dalla Palma d’Oro per “Pulp Fiction”, Quentin è tornato ad infiammare il Festival, senza però la riscossione di premi e una certa divisione di giudizi. A destare invece scandalo (con fughe di spettatori dalla sala) è stato il tunisino Abdellatif Kechicke, già Palma d’Oro per “La vita di Adele” nel 2013, che ha presentato in Concorso “Mektoub my Love: Intermezzo”, fluviale secondo capitolo (240 minuti), che continua dove il primo capitolo (presentato a Venezia nel 2017) finiva.

 

Quindici minuti di cunnilingus, consumati nella toilette della discoteca (principale location), ripresi con dovizia di particolari, ai limiti del pornografico, hanno creato non poco disappunto tra il pubblico e molti addetti ai lavori, malgrado gli avvisi di Kechicke sulla sua aspirazione a filmare un cinema libero.

 

La Giuria di questa 72esima edizione è stata presieduta dal regista messicano Alejandro Gonzalez Inarritu, e da Yorgos Lanthimos, Pawel Pawlikowski, Robin Campillo, Kelly Reichardt, Enki Bilal, Elle Fanning, Maimouna N’Diaye, e Alice Rohrwacher. Ancora una volta assente Netflix in quest’edizione, ci si è ritrovati a premiare con la Palma d’Oro un autore che già aveva diretto un film per la piattaforma. Paradossi, contraddizioni, ma anche punti di forza di un Festival che ha messo la Settima Arte al suo centro.

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