Quote rosa a chi?
La necessità di un cambiamento radicale nella mentalità e nei comportamenti individuali e collettivi nell’analisi di Maddalena Boffoli.
L’Italia è senz’altro il peggior paese d’Europa per divario di occupazione tra uomo e donna e le norme sulle quote rosa non sono sufficienti, solo in una società in cui verrà dato valore al merito, verranno raggiunte le pari opportunità. Maddalena Boffoli si batte da tempo come avvocato in ambito legale sull’argomento, per il raggiungimento di una consapevolezza culturale non solo fatta di norme.
Agire sul piano culturale quindi, prima ancora che su quello normativo. Spingere le donne a rivendicare parità di diritti, rifiutando l’accettazione dello status quo. Premesso che la questione di genere è la conseguenza di una serie di componenti tra loro interconnesse, un cambio culturale può favorire e imporre nuove norme che abbiano poi riflessi anche sul sistema economico, ma anche l’applicazione delle norme, che favorisce un mutamento del sistema economico, può trovare piena soddisfazione solo se tutti ci adattiamo a un vero cambiamento.
Un esempio? I congedi parentali, che sono stati normativi introdotti anche in favore dei padri lavoratori già dal 2012, continuano ad essere utilizzati dagli uomini in casi di rara eccezionalità. E ancora: le norme sulle quote rosa hanno sì favorito l’ingresso delle donne nei cda, ma solo in poche vengono nominate nel ruolo di amministratore delegato.
Per questo motivo si è acceso un dibattito, tra analisti e opinione pubblica, sull’utilità o meno di imporre la presenza delle donne nella stanza dei bottoni.
Entrando nel merito del dibattito, a questo proposito Maddalena Boffoli, ha una visione delle questioni di genere molto laica, improntata al pragmatismo senza cedimenti all’ideologia.
Afferma Boffoli “Un po’ di tempo fa non ero una fervente sostenitrice delle quote rosa, ritenendo da inguaribile romantica che le competenze di ciascuno potessero essere sufficienti a garantire il giusto posizionamento lavorativo. Ma il confronto continuo con la realtà mi ha indotto a dovermi ricredere. La norma ha certamente aiutato a promuovere e forzare un progressivo processo di cambiamento, processo che però non si è del tutto completato.
E’ pur vero che anche grazie alle quote rosa introdotte nelle società quotate in borsa e nelle società a controllo pubblico la componente femminile oramai è indiscussa, ma i veri ruoli di comando vengono ancora affidati nella gran parte dei casi agli uomini”. Occorre allora un cambio di passo a livello culturale nella società, “a cominciare dall’ambito familiare e da quello scolastico, dove ragazzi e ragazze iniziano il loro vero percorso di formazione”.
Boffoli ricorda che a volte le stesse donne faticano a denunciare o anche solo a riconoscere una discriminazione. “La considerano parte di una relazione normale, precludendosi da sole la possibilità di sradicare un meccanismo culturale di lungo corso”.
Solo agendo su più fronti e con vari strumenti, il gap potrà essere colmato, sottolinea Boffoli. Che ribadisce la necessità di un cambiamento radicale nella mentalità e nei comportamenti individuali e collettivi, ma anche di un approccio prudente alla trasparenza retributiva nelle imprese.