Il Leone D’Oro di Cuaron
La pellicola dell’acclamato regista di “Gravity” e “I figli degli uomini”, è arrivata in doppio formato: sala (purtroppo per pochi giorni e grazie alla Cineteca di Bologna) e su Netflix dal 14 dicembre scorso.
Da molti definito come il suo film migliore e maturo, “Roma” si prepara a fare incetta di statuette alla prossima edizione degli Academy Awards. All’ultimo Festival di Venezia, è riuscito sorprendentemente a mettere d’accordo tutti, ma proprio tutti, tra la critica e il grande pubblico.
Questo Amarcord in salsa messicana, racconta un momento particolare del paese nativo del regista sotto il punto di vista sociale e politico: l’anno 1970. L’accostamento al capolavoro italiano è dovuto anche al realismo magico di cui è impregnato il suo lavoro, che ha riportato Cuaron al primo film girato in Messico dai tempi di “Y tu mama tambien” (2001).
Roma è il quartiere dove il filmaker (scrive, dirige, fotografa e monta al tempo stesso) è cresciuto a Città del Messico, e dove si può individuare nel suo ritratto, una buona parte della filmografia felliniana: “La Strada”, “Le notti di Cabiria” e “8 e mezzo”; ma anche quella del cinematografia contemplativa di registi come Miklos Janckso, Bela Tarr e Andrei Tarkovskij, portata però come impostazione più su un livello da kolossal occidentale (come ha analizzato un critico).
Questa villa borghese nella capitale messicana, è fotografata con molta luce dallo stesso Cuaron, in cui si aggiungono dinamiche familiari complicate, una macchina enorme con evidenti difficoltà ad entrare nel garage di casa, le strade con gli escrementi dei cani, scontri in città fra gli studenti e la polizia (nella logica post sessantottina), praticanti di arti marziali orientali.
Le due donne protagoniste, la domestica Cleo, e Sofia, la padrona di casa, rappresentano il perno di questa vicenda autobiografica: una attenta alla cura dei bambini di famiglia, e l’altra stoica nella sopportazione dell’abbandono da parte del marito del tetto coniugale.
Nel mezzo del suggestivo bianco e nero, anche le gioie dell’amore e la durezza del dolore, in una grande disamina dell’universo femminile, che ha tenuto banco a Venezia 75 anche con il Leone D’Argento “The Favourite” di Yorgos Lanthimos (a gennaio 2019 nelle sale, come anche il remake di “Suspiria” targato Luca Guadagnino), e il controverso “The Nightingale” di Jennifer Kent, onorata con il Premio della Giuria.