Dimmi cosa canti e ti dirò chi sei

Chi erano e cosa pensavano gli italiani degli anni ’60? Luci e ombre degli anni del boom economico, raccontati attraverso la musica dell’epoca.


Mercoledì 15 gennaio, presso il teatro Duse di Bologna, si è tenuto il primo dei cinque incontri di “Penso che un sogno così non ritorni mai più”, ciclo di appuntamenti – moderati dal giornalista Massimo Bernardini – che racconta il decennio degli anni ’60.

Le cinque serate, organizzate dall’Associazione culturale Incontri Esistenziali in collaborazione con Il Resto del Carlino, Mostra NOI e con il sostegno di Illumia e BPER Banca, mettono in scena la rinascita economica e sociale del Paese dopo la guerra, senza però tralasciare la presenza di quegli elementi che porteranno ai successivi anni 70, gli anni di piombo.

Musica come arte, come intrattenimento, come passione ma soprattutto musica come colonna sonora della nostra storia. Le canzoni non sono mai solo canzonette, sono bensì l’eco del quadro sociale in cui risuonano. Il sovrapporsi di una tendenza musicale a un’altra rende manifesto che un cambiamento è avvenuto, che nuovi costumi si sono imposti. Un continuo divenire che nelle canzoni, tanto nelle parole quanto nel ritmo, trova il suo naturale riflesso.

“Abbiamo voluto rileggere la storia d’Italia attraverso la musica leggera. Gli anni ’60 erano il momento in cui l’Italia usciva dal dopoguerra e viveva un periodo di ottimismo. Erano gli anni in cui gli italiani erano convinti che il futuro sarebbe stato migliore del presente, sensazione che non abbiamo mai più vissuto”, così Michele Brambilla – direttore di QN Quotidiano Nazionale e il Resto del Carlino – ha aperto la serata che ha visto sul palco del teatro Duse: Mara Maionchi, produttrice discografica, conduttrice televisiva e talent scout italiana; Alberto Salerno, paroliere e produttore discografico italiano; il giornalista Oscar Giannino; lo storico italiano Giovanni De Luna; Giovanni Salizzoni, politicamente attivo in quegli anni; la giovane imprenditrice Vittoria Gozzi.

Quasi due ore di spettacolo in cui la verve della Maionchi, unita ai nostalgici racconti di Alberto Salerno, ripercorreva le tappe della musica italiana, mentre De Luna, Salizzoni e Giannino ne svisceravano le matrici socio-politiche.

Una serata in cui il pubblico è passato dallo stile accuratamente sommesso e perbenista di una giovanissima Gigliola Cinquetti, che nel 64 appena sedicenne cantava “Non ho l’età”, a “Sono un ragazzo di strada” de I Corvi (1966).

Artisti agli antipodi, eppure il lasso temporale che li separava era quasi nullo. Qualcosa in quei due anni doveva essere successo o forse semplicemente l’ottimismo degli anni ’60 mal celava il rovescio della medaglia del boom economico e della ripresa dal dopoguerra, che non per tutti erano stati garanzia di benessere.

È proprio in quegli anni, infatti, che si torna a parlare di emigrazione, ovvero di quella che De Luna ha descritto nel corso del dibattito come “la ferita di chi è costretto a lasciare il Paese per trovare lavoro e che, quindi, vede la Patria trasformarsi da madre in matrigna”. Una matrigna che però in qualche modo tutelava ancora gli italiani, ne è un esempio il Carosello che, continua lo storico, “è come se avesse voluto proteggere la popolazione dal consumismo; non a caso nelle pubblicità il prodotto era nominato negli ultimi secondi, come se ci fosse pudore nel parlare della merce”.

Una protezione che faceva da contraltare alle canzoni di Carosone, che raccontavano in tono satirico il processo di americanizzazione della popolazione. Un esempio è Tu vuò fà l’americano, brano che ci svela tra l’altro come in quegli anni nasceva uno stile di abbigliamento ben preciso. Con il 1969 e la strage di Piazza Fontana cambierà radicalmente il clima e da quel momento sarà tutta un’altra musica.

Giuliana Di Gioia

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