Cosa resterà di…questo Sanremo 2023

Anche questa 73tresima edizione del Festival di Sanremo si è conclusa tra polemiche, eventi inaspettati e cose che forse sarebbero dovute andare diversamente.


Era partito bene con la presenza di Mattarella in galleria e lo straordinario intervento di Benigni per i 75 anni della Costituzione, ma poi – benché tutti gli addetti ai lavori diranno il contrario – qualcosa è andato storto.

Partiamo dalla durata delle serate, assolutamente eccessiva. Talmente eccessiva da rendere necessario il rimescolamento della scaletta all’ultimo secondo con la posticipazione di momenti programmati (vedi omaggio a Lucio Dalla, previsto per venerdì e spostato nella serata finale) e la corsa frenetica nell’annunciare i cantanti in gara (mancava solo il lancio, al posto della consegna, dei fiori per guadagnare tempo).

A che pro tutto questo? La smania di aggiungere, a volte dovrebbe cedere il passo al levare. Ventotto cantanti in gara, dovendo necessariamente inserire all’interno delle serate dei momenti di spettacolo – ricordiamoci che siamo pur sempre in televisione e non in radio – porta inevitabilmente ad allungare il brodo. Ma credono davvero che la gente non si sia addormentata davanti alla Tv accesa, risvegliandosi saltuariamente per scoprire che, sì, erano ancora in onda?

Si è parlato tanto degli ascolti, che indubbiamente sono alti, ma occorre solo ricordare che la percentuale di share così tanto decantata e glorificata è anche (sottolineo anche e non solo) figlia della nuova metodologia di rilevamento dei dati che ha portato a delle modifiche a rialzo, per tutti i programmi televisivi.

Percentuali più alte che, attenzione, non hanno inciso sugli spettatori (anzi). Un esempio lo possiamo portare con la comparazione della serata finale di questa edizione, che si è assestata sui 12.256.000 di spettatori con il 66% di share, con quella dell’anno scorso dove gli spettatori erano 13.380.000, con una percentuale di share pari al 64,9%. Questo non per sminuire quello che indubbiamente è l’ennesimo successo di Amadeus come conduttore e direttore artistico, ma per portare all’evidenza un dato di fatto che non è corretto lasciare nascosto confondendo le acque e gridando al miracolo.

E poi c’è il solito capitolo donne di Sanremo. Ne abbiamo viste quattro: Chiara Ferragni, Francesca Fagnani, Paola Egonu e Chiara Francini. Tutte costrette a pagare pegno con l’ormai abusato impiego del monologo, come se per forza si debba passare da questo supplizio per apparire, oltre che belle, anche intelligenti. Il risultato è stato che, almeno due di questi, sono risultati fuori luogo, pieni di retorica e ridondanti.

Un capitolo a parte è Chiara Francini, donna di spettacolo il cui monologo – questo sì degno di nota – è finito relegato all’una e mezza di notte. La Francini è stata l’unica donna, quest’anno, capace di dominare il palco dell’Ariston con ironia, bravura e intelligenza. La sua presenza, venerdì sera, ha dato ritmo ad un Festival che fino a quel momento (al netto di Blanco e dei Fedez e Oxa gate) si era dimostrato sottotono, lento e privo di particolare guizzo.

Dimostrazione che non serve mettere in scena figure che con il mondo dello spettacolo non c’entrano nulla, perché il risultato che si ottiene, molto spesso, è esattamente l’opposto di quello che si vorrebbe raggiungere. Sanremo non è, e non deve essere, il trampolino di lancio per carriere televisive inesistenti.

I veri vincitori di questa edizione sono Gianni Morandi, che all’età di 78 anni ancora si diverte e si mette in gioco come un ragazzo, e l’effetto nostalgia che si è creato richiamando sul palco cantanti come i Pooh e Gino Paoli. Amadeus ha costruito il solito carrozzone, fatto di qualunque cosa potesse essere messa su quel palco, incurante del tempo che scorreva inesorabilmente e della logica. Alla fine, poco ricorderemo di queste serate. Chissà, forse questa è la strategia migliore per poter vantare quattro Festival di fila all’attivo, più il quinto già firmato. Ci vuole astuzia e bravura anche in questo.

Enrica Leone

 

 

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