Rosè, dalla Corea con amore

La regina del K Pop e componente delle Blackpink, dopo la sua collaborazione con Bruno Mars nel successo mondiale “APT”, esce con l’album “Rosie” che porta la sua musica su traiettorie più romantiche e riflessive, ispirate ai primi anni 2000.


Dalla fabbrica del K Pop, l’industria musicale coreana basata su metodi ben collaudati, gerarchie imprenditoriali precise, logiche di selezione rigide e “addestramenti” degni di logiche militari, sempre più spesso arrivano prodotti artistici destinati a dominare le classifiche mondiali.

Dal 1992, anno di uscita per il progetto Seo Taiji and Boys, si sono avvincendati centinaia di progetti alcuni dei quali, soprattutto negli ultimi anni, sono diventati fenomeni musicali e di costume a livello mondiale.

Oltre al caso clamoroso di Psy e “Gangnam Style” nel 2012, da noi sono ormai di casa i BTS, che hanno collaborato con i Coldplay, e hanno già fatto capolino nelle nostre classifiche anche le Blackpink, che ora si stanno dedicando ai primi progetti solisti.

In attesa delle componenti Jisoo, Jennie e Lisa, la prima ad inaugurare la nuova stagione (e anche la più attesa) è Rosè, sulla scia del trionfo planetario di “APT”, il duetto con Bruno Mars che svetta in tutte le classifiche mondiali.

Il brano, ispirato a un popolare gioco di bevute coreano, ha lanciato in grande stile l’album d’esordio “Rosie”, che suona come un deciso approdo al pop statunitense, con l’apporto di produttori e autori come D’Mile, Carter Lang, Omer Fedi, Cirkut, già al fianco di Rihanna, SZA, Doja Cat, Katy Perry, Lady Gaga.

L’album segna un distacco dallo stile danzereccio e spensierato delle Blackpink per prendere una strada più sentimentale e riflessiva, è inevitabile non pensare a Taylor Swift tra le influenze.

Già dalla ballata “Number One Girl” che apre il disco si capisce in che terreno siamo, si tratta di un pop elegante, tradizionale, ben fatto ma abbastanza convenzionale, sostenuto da una produzione elegante, con Rosè che fa la sua parte vocalmente, tutto perfetto, forse fin troppo.

L’amore tormentato è l’argomento più trattato come si conviene in questo genere, ad esempio in “Two Years” ci si perde nei ricordi del passato. “Toxic till the end” ci fa pensare anche ad una Avril Lavigne più intima e acustica, con “Drinks or coffee” sale il ritmo ma non il coinvolgimento.

“Gameboy” racconta di un fidanzato inaffidabile, “Stay a little longer” è un bel pezzo melodico che potrebbe essere nelle corde di Christina Aguilera, inaugurando una parte di album che ci porta a qualche anno fà, prima che le influenze urban irrompessero nel pop, altro brano con lo stesso sapore è “Not the same”, mentre “Dance all night” chiude il disco in modo liberatorio e ritmato, con uno sguardo positivo sul futuro.

“Rosie” è il viaggio deciso verso il mercato statunitense di un genere nato in Corea come imitativo di un modello che era comunque anglo americano, il risultato è un doppio giro che sà di già sentito per un ascoltatore adulto ma che può fare breccia nelle sensibilità adolescenziali.

L’album racconta le esperienze e le tribolazioni di quando si diventa adulti, la ricerca di una connessione con gli altri e il passaggio attraverso amori tossici, un racconto di crescita forse più significativo del valore musicale in sè delle canzoni, che rimangono ancorate a stereotipi già ampiamente sfruttati.

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 Fabio Alberti

 

 

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