Negrita, il suono della sincerità

“Canzoni per anni spietati” racconta la realtà vista dagli occhi di una generazione smarrita, che ha sbagliato tutto ma che ancora si interroga e non si arrende alla superficialità e al fatalismo.


Che bello quando si ritrova qualcuno che forse si aveva già dato un po’ per scontato o per perso. Nella vita si cresce, si matura, e non c’è un’età più adatta di un’altra per inseguire la propria libertà creativa e la voglia di raccontare la realtà, in un periodo in cui sembra che quasi nessuno voglia farlo.

“Canzoni per anni spietati” è una svolta per la band, non per un motivo armonico o musicale (essendo un album alla Negrita più che mai) ma per gli obiettivi che si prefissa, in un contesto storico in cui il pubblico adulto è ormai anestetizzato dall’intrattenimento innocuo e dal rifugio nella nostalgia dei cosiddetti “bei tempi” di una gioventù che spesso neanche ha vissuto.

“Nel blu (lettera ai padroni della terra)” apre il disco mettendo subito in chiaro che qui si parla dell’oggi, della realtà, anche a costo di sembrare populisti o retorici, ma da qualcosa bisogna partire per andare oltre all’autocensura che sta colpendo molti artisti, oltre alla convinzione che la gente voglia essere solo distratta o intrattenuta.

Anche “Non esistono innocenti amico mio” racconta la spietata realtà che causa le guerre uscendo fuori dagli schieramenti e dalle tifoserie, così come “Noi siamo gli altri” è un inno generazionale forse figlio di Vasco, Ligabue ma anche del loro modo di intendere la musica come famiglia e luogo di confronto in quanto band che arriva dalla provincia.

“Ama o lascia stare” e “Buona fortuna” hanno in comune la concretezza di chi dà importanza ai rapporti umani veri e alle condivisioni che vanno oltre alla trappola dei social che ci vogliono l’uno contro l’altro.

“Dov’è che abbiamo sbagliato” è “La mia generazione ha perso” di oggi, mentre Giorgio Gaber si riferiva alle battaglie sociali degli anni ’60, qui si parla del vuoto compresso nelle coscienze e degli infiniti aperitivi che affollano le giornate dei cinquantenni di oggi.

A proposito di grandi artisti, due cantautori spesso indicati come “maestro” e “allievo” sono fari per due colonne portanti del disco:
“Song to Dylan” è un omaggio al menestrello Zimmerman che continua idealmente quella “Song to Woodie” che Dylan scrisse per il suo mentore Woodie Guthrie, mentre la cover “degregoriana” di “Viva l’Italia” affonda le radici nel folk rivelandosi una piacevole sorpresa.

Chiudono la scaletta il raggio di sole e la brezza estiva di “Non si può fermare” cantata dal chitarrista Drigo, a ricordarci che tutto può migliorare, basta predisporci in maniera positiva e costruttiva.

“Canzoni per anni spietati” è un disco sentito e sincero, fortunatamente coerente con la loro indole e la loro storia, che spazza via alcune loro opache prove recenti, nell’attesa di trovare una consacrazione nei concerti, dove la coscienza musicale diventa collettiva.

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 Fabio Alberti

 

 

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