Le radici di Brunori Sas

“L’albero delle noci” è l’album che, ancora di più di altri, connette il cantautore cosentino con le proprie origini, dando spazio a dinamiche sentimentali e familiari, con i suoni e il linguaggio del cantautorato.


L’insperato podio conquistato a Sanremo 2025 per Dario Brunori alias Brunori Sas e il lancio del nuovo album sotto riflettori ben più importanti del solito poteva far pensare ad un approdo a lidi più pop e universali per la sua musica a livello sonoro o semplicemente a un approccio testuale più semplificato.

I dieci brani che compongono il sesto album in carriera del cantautore cosentino smentiscono ogni ragionevole dubbio, anzi, se in parte c’è qualche sperimentazione, abbiamo anche un deciso ritorno al Brunori prima maniera, con suoni più scarni e liriche affilate, con un filone narrativo che rimane volutamente nell’ambito familiare per raccontare il passaggio tra l’essere figlio e l’essere padre.

La canzone “L’albero delle noci” è ovviamente la capofila del progetto, musicalmente dal sapore “degregoriano”, con un ritornello aperto e un’orchestrazione che sul palco dell’Ariston ha trovato la sua casa, oltre al tema che affronta paternità e radicamento alle proprie origini e diversi riferimenti a usi e costumi locali.

In molte zone della Calabria era infatti tradizione che il padre piantasse un albero di noce alla nascita di un figlio. Questo gesto aveva un significato simbolico profondo, legato ad un augurio di prosperità e futuro, ad un auspicio di eredità, oltre a un valore di protezione e legame familiare.

“Siamo stati due eroi a non perderci, noi”, l’apertura del disco è ad alta intensità emotiva; si parla di un rapporto che miracolosamente sopravvive alle intemperie e alle difficoltà.

Dell’amore si parla, ma poi l’amore cos’è? Brunori se lo chiede ne “La ghigliottina”, il brano più sociale e ritmato del disco, così come l’amore per sopravvivere può aver bisogno di gesti disperati per salvarsi, “Il morso di Tyson” parla di questo, col tocco sonoro inconfondibile del produttore Riccardo Sinigallia .

“Non è che l’amore non ritorna più, no no / Anche se tornasse indietro / Non ci troverebbe più”: quando si cambia e ci si evolve come argomento per “La vita com’è”, candidata nel 2024 al David di Donatello come miglior canzone originale per la colonna sonora del film “Il più bel secolo della mia vita” di Alessandro Bardani.

Si parlava di radici, di origini, e allora ecco “Fin’ara luna”, dove il dialetto cosentino consente a Dario di rendere ancora più viscerale e poetica la commovente lettera di un uomo alla moglie scomparsa.

Gli esperimenti ci sono, quasi due “corpi estranei” all’album ma che vanno a variare e ad alleggerire i contenuti, “Pomeriggi catastrofici” è un ironico brano alla Paolo Conte che racconta i luoghi e le situazioni della sua adolescenza, mentre la sarcastica “Più acqua che fuoco” lo porta su un terreno quasi alla CCCP, con suoni saturi e chitarre roboanti.

Si calmano le acque con “Luna nera”, brano notturno sottolineato da una tromba sorniona, mentre “Guardia giurata”, brano scarno, quasi da bootleg, è una riscoperta del Brunori delle origini de “Il giovane Mario” e “Italian Dandy”.

“L’albero delle noci” è un album musicalmente discontinuo ma tematicamente coeso, per nulla furbo o accattivante, una dichiarazione di intenti di chi prosegue su un proprio percorso senza modernismi forzati, perchè essere sempre fuori moda è il miglior modo per durare nel tempo.

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 Fabio Alberti

 

 

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