Il viaggio emotivo di Joan Thiele

Dopo la partecipazione a Sanremo 2025, la cantautrice di origine svizzero colombiana raccoglie consensi con “Juanita”, album che mette in scena una sua ideale alter ego cinematografica.


Chi non ha pensato sentendo “Eco”, la canzone che ha permesso a Joan Thiele in queste settimane post sanremesi di farsi ascoltare da un pubblico vasto, ad una colonna sonora alla quale il brano avrebbe potuto fare parte?

“Juanita”, terzo album in carriera per la poliedrica e cosmopolita cantautrice, è a tutti gli effetti un racconto sonoro unico che ci spinge ad una forte immaginazione, come davanti ai capitoli di un romanzo o scene tratte dallo stesso film.

Le 14 tracce, partendo dalla tarantiniana “La forma liquida ” fino al divertente cameo di sua nonna in “Pazzerella” ci mostrano un disco coeso, elaborato, che gira attorno ad un’idea sonora precisa e coerente.

Atmosfere sognanti, tra western, Sudamerica, soul, pop sognante con la soffice voce di Joan mai troppo invadente, che arriva spesso a mischiarsi con la musica, sono ingredienti che formano un disco decisamente più internazionale che italiano.

“Joanita” viene descritta come una figura misteriosa, decisa ma anche fragile, che affronta le scelte e i cambiamenti con una vena di dolore sotterraneo, sottilissima ma sempre percepibile.

In diverse tracce del progetto sono evidenti gli omaggi a Piero Umiliani, autore di colonne sonore negli anni ’70 e punto di riferimento dichiarato per la cantautrice.

In “Tramonto” c’è un campionamento di “Crepuscolo sul mare” dal film “La legge dei gengster” (1969), il mistero e la sensualità che esprime “Volto di donna” è merito di una citazione dall’omonimo brano del 1965, anche la psichedelica “Acqua blu” omaggia un suo brano dove veniva sperimentata un’elettronica inusuale per l’epoca; che dire di “Occhi da gangster”, uno dei brani più riusciti del disco, che sfocia in una forma di rap romantico, anche qui cè ll fantasma di Piero, citato durante il brano.

“Joanita” non è però solo questo, è un diario musicale intimo e personale, un album figlio della cultura globale del suono, di più difficile comprensione per chi ragiona coi parametri italiani sanremesi del “fuori la voce” e di un modo spesso didascalico di scrivere e raccontare.

Qui ci si deve saper lasciare trasportare, fidarsi più dell’impatto emotivo che di quello che letteralmente viene raccontato; “Joanita” è come un film che va gustato dall’inizio alla fine, non ci sono singoli né hit, c’è un racconto unico e articolato che potrebbe entrare ed uscirci dalle orecchie, oppure entrarci sotto pelle, dipende dalla nostra cultura, curiosità e sensibilità.

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 Fabio Alberti

 

 

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