Il “Pinocchio” contadino di Garrone

Il regista di “Dogman” e “Gomorra” torna con un nuovo riadattamento della fiaba di Collodi, operazione riuscita però solo a metà.

Del film del 1972 con Nino Manfredi nei panni di Geppetto, viene ripresa (in minima parte) la gradevole colonna sonora, questa volta a firma di Dario Marianelli. Non si sente però quel sapore delle grandi emozioni che attraversavano sia il film di Luigi Comencini, che il capolavoro animato disneyano del 1940. Quest’ultimo in piena seconda guerra mondiale, donava un aspetto più caloroso alle vicende del burattino più famoso della letteratura, forse proprio per stemperare la cupezza dei tempi bui di quell’epoca.

Probabilmente la visione di Garrone è fedele all’aspetto favolistico della trasposizione collodiana, e rispetto al “Racconto dei Racconti” rivolto più ad un pubblico colto che alle grandi masse, cerca di parlare di più ad un’ampia platea. Ma forse è il peso delle precedenti “riletture”, a mettere a freno il coraggioso e apprezzato autore dell’ultimo capolavoro “Dogman“.

Da una parte, quest’ennesima versione di “Pinocchio” (interpretato dal bravo esordiente Federico Ielapi) rimanda ad aspetti ancestrali della vita contadina toscana, ed in questo è debitore dello storico “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi, ma anche del suggestivo “Lazzaro Felice” di Alice Rohrwacher.

In aggiunta a quello che già è stato raccontato, non sarebbe dispiaciuta un’analisi ancora più dark del classico di Collodi. Sicuramente Roberto Benigni funziona decisamente meglio nei panni dell’amorevole padre del burattino, lo squattrinato falegname Geppetto, che in quelli di Pinocchio stesso, avendolo interpretato in una fallimentare versione del 2002.

E’ utile anche la presenza di Massimo Ceccherini (un po’ meno come cosceneggiatore in questo caso) nei panni della Volpe, insieme a Rocco Papaleo nei panni del Gatto. Probabilmente l’assenza degli storici collaboratori (in sceneggiatura) di Matteo Garrone, ovvero Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, fa sentire il suo peso narrativo in questa fiaba edificante che scalda i cuori (e gli incassi al botteghino natalizio), ma non lascia il segno rispetto ai suoi più incisivi predecessori.

Francesco Maggiore

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