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Un’identità ormai persa nei meandri del ''Tutti cantano Sanremo''. Ascolti alti, ma con ben più di uno scivolone, una De Filippi perfetta e la Tv del dolore anche sul palco dell’Ariston.


Sanremo 2017: il festival delle lacrimeÈ calato da pochissimo il sipario sulla sessantasettesima edizione del Festival della canzone italiana ed un bilancio criticamente redatto è d’obbligo. Una media di tutte e cinque le serate del 50,41% di share e 10.814.000 spettatori. Una kermesse dove le eliminazioni, come sempre, hanno fatto discutere. Dove forse si è ufficialmente chiusa l’era dei veri big, per fare definitivamente posto ai talent nonostante il podio Gabbani, Mannoia, Ermal Meta. Ma su questo punto lascio la parola ai critici musicali che sicuramente ne sapranno più di me. Io mi occupo di altro, di spettacolo, di televisione.

Del Sanremo lustrini, spettacolo e Pon Pon. Il terzo Sanremo di Conti è stato da lui stesso definito un mazzo di fiori. Quelli precedenti erano un mosaico e un arcobaleno di colori. Modo elegante per dire che anche quest’anno avremmo visto in cinque serate di tutto e di più. E così è stato. Ospiti musicali che forse erano gli unici azzeccati, modelle mogli di, figli di, calciatori, marchettoni ai programmi futuri di Rai uno e al cinema, persone comuni relegate nello spazio Tutti cantano Sanremo. E proprio su di loro vorrei spendere qualche parola in più. La premessa è doverosa, ognuna di quelle persone dagli angeli di Rigopiano al nonno di Nizza sono da elogiare. Sono eroi quotidiani che meritano il rispetto di tutti noi, ma non a Sanremo. Con il festival non c’entrano nulla. Non è necessario avere il cuore di pietra per capirlo. Non servono a niente se non a strumentalizzare tragedie e dolore solo ed esclusivamente in funzione degli ascolti. E così alla fine è stato.

È stato il festival delle lacrime e della commozione, per carità vera, ma di cui si poteva tranquillamente fare a meno. Pianti per le storie raccontate, che sapevano tanto di C’è posta per te versione Rai uno. Lacrime e volti di parenti dei cantanti inquadrati argutamente dalla regia sulla quale si potrebbe fare ben più di qualche appunto. Tutto per colpire al cuore i sentimenti del pubblico che però, a quanto pare, non si è fatto intenerire moltissimo per esempio dalle guance giustamente rigate di lacrime di Cristel Carrisi sulle note della canzone del padre. E poi ancora bellissimi i bambini del piccolo coro dell’Antoniano, ma anche no. Non siamo allo Zecchino d’oro, siamo a Sanremo e non ci interessa se l’anno prossimo Conti sarà il direttore artistico dei piccoli, motivo per cui l’ospitata era quasi d’obbligo.

Qualcosa di buono però c’è stato: Maria de Filippi. Per quanto i suoi programmi facciano discutere si è dimostrata semplicemente perfetta, tralasciando più della metà degli abiti indossati. È riuscita là dove nessuno aveva mai nemmeno provato: spodestare Conti, lasciarlo nell’ombra ogni qual volta si sono trovati insieme sul palco, per non parlare dei momenti condotti esclusivamente dalla De Filippi. Si potrebbe dire che The queen ha regnato, e il valletto di corte l’ha seguita, con non poca fatica però. Era da qualche anno che non succedeva una cosa del genere. Insomma ci voleva lei per fa scemare la cosiddetta conduzione egocentrica.

In definitiva un Sanremo 2017 copia sbiadita dei precedenti due, con degli ascolti alti, ma con ben più di uno scivolone che si è fatto presto a scusare con un calo fisiologico, chiudendo subito la pratica. In realtà il “Conti Ter” ha scricchiolato e non poco, ma forse a pochi importa. È stato un Sanremo da cui volutamente o meno è emerso il terrore di volersi sporcare le mani, perché è meglio omologarsi, mischiare senza un filo logico piuttosto che rischiare. Un festival dove la fiera dei luoghi comuni ha avuto la meglio, ma Sanremo non deve più essere questo. Ridiamogli un’identità.

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