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Categoria: Divagazioni Letterarie
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Paolo Guzzanti, un irresistibile libro di memorie.


Senza più sognare il padreHo letto il libro di Paolo Guzzanti, “Senza più sognare il padre” (Aliberti Editore). Apro a caso, come faccio quasi sempre con i libri voluminosi, anche non autobiografici, vado avanti, torno indietro, oppure smetto subito. Prima cosa da dire che Guzzanti scrive in modo brillante, delizioso: il suo è uno di quei libri (o anche articoli, saggi, poesie: purtroppo raramente) che non ti stanchi mai di leggere, vorresti che non finissero mai. In questo caso, per di più, Guzzanti conclude le sue memorie al 1999, mi resta una grande curiosità, spero esaudita presto, di leggere come ha vissuto il primo decennio, e oltre, di questo secolo.

Per quanto mi riguarda, ci sono almeno un paio di aspetti professionali e personali, che mi coinvolgono più di altri. Il primo è il rapporto tormentato con il padre. Quando si tratta di rapporti difficili – e io l’ho avuto difficilissimo nell’adolescenza - mi immedesimo all’istante. Invidio a Guzzanti una frase straordinaria che ha scritto in morte del suo papà, avrei voluto scriverla io, per fantasia, originalità, malinconica sensibilità: “Ci promettemmo, quando lo vidi a disagio nella sua bara, di non disturbarci a vicenda con i sogni, se non per assoluta necessità”.

Ci sono sprofondato dentro, mani e piedi: anch’io, solo al momento della morte di mio padre, ho capito e sono riuscito ad accettare il terribile squilibrio, che ci aveva sempre diviso. Io non sono riuscito a soddisfare nessuno dei suoi sogni, su di me; né lui, i miei. Il secondo aspetto è la minuziosa analisi che arriva al lettore dalla testimonianza autobiografica di Paolo. E su questo, purtroppo, a fronte del piacere continuo della lettura, debbo formulare una critica. Non c’è, nel suo libro, la profonda, definitiva (abbiamo l’età ormai per farlo) autocritica.

La stessa sensazione, l’ho avuta alcuni giorni fa leggendo un’intervista di Ernesto Galli Della Loggia: spietata verso tutto e tutti per la decadenza del nostro Paese, non una sua parola, anzi, “sono molto soddisfatto di me”, o qualcosa del genere, per quanto lo riguarda. Non così esplicita, ma più o meno simile la riflessione di Guzzanti. Per quanto mi riguarda, penso invece che tutti, di fronte alle macerie che lasciamo ai nostri figli e ai nostri nipoti, tutti, ripeto tutti, abbiamo precise responsabilità. Per quanto mi riguarda, in una sola parola penso di aver vissuto come un cretino totale, nel senso che la vita, con le sue tragedie e le sue evoluzioni, mi è passata davanti, senza che io sia mai riuscito a capire ciò che nel profondo stava succedendo, né a maggior ragione ad avere intelligenza, energia e coraggio per affrontarlo; e questo è un problema di tutti, senza offesa, anche di Guzzanti e Della Loggia e di tutti coloro che sono stati testimoni, o comunque cittadini inconsapevoli del crollo italiano.

Tra qualche giorno uscirà una mia intervista a Sette, in cui spero di essere riuscito a spiegarmi con maggiore chiarezza. Non si può accusare e colpevolizzare tutti e autoassolversi disinvoltamente. Ma torniamo alla qualità del libro, sarà anche vero, come sostiene Paolo che i capelli rossi sono stati il suo marchio di fabbrica e gli hanno insegnato a vivere in isolamento, più che in minoranza. Bene, non ho avuto la fortuna di conoscere Guzzanti – certamente saremmo diventati conflittuali e polemici amici – ma ho letto e so abbastanza di lui per poter dire che è un giornalista, uno scrittore formidabile, anche se ricordavo appena il colore dei suoi capelli, e certo non ne intuivo l’importanza decisiva che Paolo gli attribuisce. Come uomo, per quello che so, mi attraggono con senso di solidarietà i suoi difetti e pregi.

Ha un caratteraccio, è istintivamente portato a obiettare e a ribellarsi; ha un senso di libertà e di autonomia totali. E sa cambiare idea, con esami di coscienza e decisioni anche temerarie. Ha un senso del ridicolo, una straordinaria dote naturale che ha trasmesso ad alcuni dei celebri figli, comici famosi. Direi anche che non prende sul serio quasi nulla. E mi piace molto anche, più per ciò che so dai gossip inevitabili che dai racconti del suo libro, il controverso rapporto con i figli.

Dice chi presume di conoscerlo che lui per un verso è infastidito dalla prevalente notorietà di Corrado e Sabina, turbato dalla severità e dalla frettolosità che tutti noi riceviamo dai nostri figli, e per un altro verso affettuosamente e teneramente lusingato dai loro successi. Non deve essere facile avere un papà come Paolo Guzzanti, né figli come Corrado, Sabina e Caterina… la sensazione è che comunque alla fine ci si trovi di fronte a rapporti d’acciaio.

Di solito, alle cinque della sera mi limito a brevi annotazioni. Stavolta sono andato per le lunghe e la conclusione è inevitabile: leggetelo, Guzzanti. Anche se non sarete coinvolti come me, troverete decine di anni della storia italiana, raccontata attraverso i suoi incontri e scontri con tutti o quasi i protagonisti della politica e del giornalismo. Con una ricostruzione sempre divertente, raramente dolente. Ricordo solo la celebre intervista a Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti: “A Frà, che te serve?”, una frase che è rimasta scolpita come uno slogan esemplare della continua, indistruttibile corruzione dei politici.

E le rievocazioni delle sue leggendarie interviste, che scompigliavano “la Repubblica, il Quirinale, Palazzo Chigi: Pertini, Scalfari, Cossiga, Craxi…”. Se adesso concludessi dicendo, come sostiene qualche maligno, che Guzzanti è stato più bravo come irresistibile comico e intrattenitore che in altri ruoli, direi una bugia e giustamente, forse, Guzzanti si offenderebbe. Non lo penso, ma lo scrivo. È certo però che nel suo libro autobiografico traspaiono una vanità e una presunzione, smisurate secondo i suoi nemici, e invece accettabili e simpatiche, perché sono un sigillo della sua complessa personalità, a mio immodesto parere.

 

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