Stampa
Categoria: Divagazioni Letterarie
Visite: 3884

Lo raccontano Claudio Martino e Paolo Pedrini nel libro "C'era un italiano in Argentina".


Chi è e che fine ha fatto Vittorio Meano?«Bum bum. Due colpi di pistola. Cade ammazzato Vittorio Meano, italiano d’Argentina. Luogo del reato, Buenos Aires. Scena del crimine: calle Rodríguez Peña 30, casa sua». Comincia così il libro C’era un italiano in Argentina… di Claudio Martino e Paolo Pedrini, pubblicato in questi giorni da Hever Edizioni (232 pagine, 15 euro).

Il 1° giugno 1904 scende il sipario sull’esistenza dell’architetto che ha caratterizzato per l’eternità lo skyline della metropoli latinoamericana con due segni distintivi dal significato estetico, sociale e culturale: il Palazzo del Congresso e il Teatro Colón. Ha firmato anche un’altra opera di enorme impatto visivo e portata civile nel panorama di Montevideo: il Palazzo legislativo.

Il movente appare immediatamente chiaro agli inquirenti: il fattaccio è liquidato in fretta e furia come il classico dramma passionale esploso all’interno di un triangolo scaleno. L’assassino viene pizzicato con il sorcio in bocca: il professionista, infatti, è rientrato prima del previsto e ha sorpreso la moglie con l’amante. L’uccisione è l’epilogo crudele di una bella storia zeppa di tante cose nella breve, travolgente e tragica parabola dalla traiettoria vertiginosa, iniziata 44 anni prima con la nascita a Gravere, in provincia di Torino.

Il saggio di Martino e Pedrini racconta una storia di talento, lavoro ed emigrazione; di amore, tradimento e gelosia; con delitto finale e qualche mistero. Quelle revolverate stroncano un maestoso e visionario ingegno dell’arte monumentale e avviano l’epopea di un “signor nessuno”. Scomparso nel nulla, senza lasciare traccia nella memoria del Paese d’adozione e nemmeno labili reminiscenze nella lontana terra d’origine. Una vita da romanzo, comunque, ricomposta dagli autori nelle linee essenziali, cucendo insieme i mille frammenti scovati qua e là per riscoprire un desaparecido.
Vittorio è l’ultimogenito di una famiglia agiata, papà notaio e proprietario terriero.

Rimasto precocemente orfano, si trasferisce prima a Susa con la matrigna e poi sotto la Mole Antonelliana. Qui lavora con il fratello maggiore Cesare, affermato ingegnere, e conosce la sua femme fatale, Luigia Fraschini. L’ambiente sabaudo gli sta stretto. E il mestiere lo schiaccia in una vaga malinconia: sogna di passare dal provinciale all’universale. L’opportunità arriva da Francesco Tamburini, architetto marchigiano al soldo del governo argentino, padre della Casa Rosada che, in occasione di un viaggio a Torino, viene conquistato dalle brillanti capacità di Meano e lo esorta a seguirlo per collaborare con lui.

Il giovane, a soli 24 anni, approda nel Nuovo Mondo tra le braccia della gloria, imboccando la strada di una strabiliante carriera. Lo stimolano la frizzante atmosfera e la vitale energia che animano la ciudad porteña nella belle époque fin de siécle. Vittorio brucia le tappe: debutta da assistente di Tamburini, in un batter d’occhio ne diviene socio e, quando il maestro muore, assume la piena titolarità dello studio, comprese le robuste entrature politiche. Da quel momento l’ascesa all’Olimpo è irresistibile, marcia trionfale scandita in rapida sequenza da tre capolavori: il Colón, tutt’oggi assoluto tempio mondiale della lirica; il Congresso, sede del parlamento federale; la residenza di Camera e Senato dell’Uruguay. Ma non ne vede completato nessuno, tutti inaugurati dopo il 1904.

Il successo è però bilanciato da un impietoso rendiconto a livello degli affetti: assorbito giorno e notte dall’attività, trascura i doveri coniugali e Luigia trova soddisfazione fra le braccia di un ex domestico, Carlo Passera, colui che lo spedisce prematuramente agli inferi. Ma erano davvero questioni di corna, come strombazzarono i giornali e come sentenziarono polizia e tribunale? Il dubbio è legittimo.

Attorno al Colón si avvilupparono ingarbugliati conflitti d’interesse scatenati dalla contrapposizione tra esecutivo nazionale e amministrazione municipale. Ancor più verminosa la vicenda del Congresso, a partire dalla chiacchierata scelta del progetto vincitore: è concreto il sospetto che l’architetto italiano venne favorito illecitamente da un potente comitato d’affari capitanato da Carlos Pellegrini, ex presidente della Repubblica. Poi c’è lo scandalo dei fondi: il preventivo di spesa lievitò in maniera talmente esagerata da indurre il popolo a battezzare la struttura El Palacio de Oro.

Meano, direttore dei lavori, finì sotto accusa: i successivi accertamenti giustificarono l’aumento dei costi ma lo reputarono responsabile, unico capro espiatorio, di leggerezza nell’impiego del denaro, riducendogli l’onorario di un quarto. Patì terribilmente la sonora batosta, tanto da cadere in depressione, pensare di mollare tutto e temere di perdere la calma e la prudenza.

Ecco, qui sta la reale chiave di lettura dell’intreccio e quindi dell’omicidio: non si può correre il rischio di far cantare uno che sa troppo e scoperchiare un gigantesco pentolone in cui bollono amicizie altolocate e pericolose, tangenti, canaglie, ricatti e vendette. Perciò scattò la trappola. La ricostruzione dell’episodio fatta dagli autori non lascia dubbi: Meano fu eliminato per togliere ogni ostacolo agli intrighi del Palacio de Oro. Da quel momento, sullo straordinario architetto fu calata una pesante pietra tombale: tutto messo talmente a tacere che oggi la quasi totalità degli argentini ignora chi sia l’artefice del Congresso e del Colón.

e-max.it: your social media marketing partner
Joomla SEF URLs by Artio

I cookie ci aiutano a fornire piena efficienza ai nostri servizi, continuando a navigare sul sito, ne accetti l'utilizzo. Per Informazioni.